Catanzaro, Crotone e Vibo: province e democrazia addio
par Antonella Policastrese
venerdì 2 novembre 2012
È fatta, Catanzaro alla fine l’ha avuta vinta e con Vibo si riprende anche Crotone; perché se quest’ultima fosse stata accorpata a Cosenza, la provincia cosentina sarebbe diventata la più grande e popolosa d’Europa. Era dunque sbagliata la supposizione fatta dal “Corriere della sera” settimana scorsa. I tecnici hanno deciso diversamente, come se avessero tenuto conto dello stracciarsi di vesti dei politici, politicanti, amministratori e zaraffi catanzaresi. Loro lo reclamavano questo sventurato figliol prodigo che è Crotone. E adesso che ritorna, obbligatoriamente e irreversibilmente per decreto, come stabilito dai satrapi di Germania, sotto l’egida della città delle aquile, il suo è un ritorno alla casa del padre, nel senso di quella frase tanto abusata ancorché diffusa nei manifesti funebri.
Mestamente, nel pieno vigore della sua gioventù, dei suoi venti anni di indipendenza, di crescita, di arricchimento, se non altro sociale, e di esperienza maturata in così breve tempo. In fretta e con affanno; con quel senso di paura e di incertezza di cui Crotone e il suo territorio non sono mai riusciti ad affrancarsi, fatta eccezione nell’epoca in cui dominavano le altre colonie greche di Calabria e competevano con quelle di regioni contigue. Giovan Battista Vico diceva così: “Quando Roma era un villaggio di pastori, a Crotone insegnava Pitagora”. È difficile dire, perché non esistono testimonianze, cosa fosse Catanzaro in quella stessa epoca. Ma è andata così. Quella che doveva essere la salvezza dei popoli d’Europa nell’era della globalizzazione, s’è rivelata essere una trappola per topi.
Quattro anni, dal 2008 ad oggi, di crisi finanziaria che ha distrutto l’economia, e ancora prima, dal 2001 in poi, di graduale impoverimento per via di una infelice, nefasta equiparazione della lira all’euro. Un confluire in una unità monetaria acefala di quella unità politica che avrebbe dato veramente un senso all’unione tra popoli e culture tanto diversi tra loro, come lo sono sempre stati e lo saranno in eterno le nazioni dell’Europa occidentale. Si è diffuso il contagio della speculazione e del profitto in luogo dell’unità e della democrazia; lo spread sta agli stati membri come l’elettroshock stava ai presunti malati di mente rinchiusi nei manicomi; al loro minimo agitarsi era letto di contenzione. Lo scenario in cui naufraga Crotone è questo, non altro; è vittima di quel contagio; è giunta da vittima sul carro dei monatti guidato dal professore e dalla sua equipe.
Muore dunque Crotone; di peste, non di altro. Ci vorrebbe la pioggia; quella salutare rinfrescata che induceva Renzo a sguazzare dentro l’acqua piovana: “In quel susurrìo, in quel brulichìo dell'erbe e delle foglie, tremolanti, gocciolanti, rinverdite, lustre…”. Ma ben altra cosa era la peste manzoniana rispetto a quella che sta uccidendo Crotone come buona parte dell’Italia. Ne “I promessi sposi” era tutto diverso: “Quell'acqua portava via il contagio; che, dopo quella, il lazzeretto, se non era per restituire ai viventi tutti i viventi che conteneva, almeno non n'avrebbe più ingoiati altri”. Per come si stanno mettendo le cose sul fronte mediterraneo d’Europa, cioè in Grecia, Spagna e Italia, ben altro tipo di pioggia potrà arrestare il contagio, frattanto che greci e italiani sono tornati a essere una faccia, una razza e uno stesso destino. L’anno che verrà sarà quello dei licenziamenti e delle decimazioni di massa negli enti pubblici: c’è il pareggio di bilancio da perseguire; gli italiani sono stati spremuti, non resta che decimare la popolazione. Vai Governo dei tecnici, sei sulla strada giusta!