Castro: fra illuminanti fuochi di storia e sfavilli di modernità

par roccob
giovedì 30 luglio 2009

Racconta Virgilio che l’eroe troiano Enea approdò sull’italico suolo in un “certo” punto, che sicuramente ci è familiare, anzi molto verosimilmente, ci appartiene. Ma questa è un’altra storia.

Però, in certo qual modo, ricollegandomi all’anzidetto specialissimo evento, mi piace immaginare che, forse a causa di una cocente delusione, la divina Pallade Atena per i greci o Minerva per i romani -il cui nome costituisce, non a caso, parte integrante dell’appellativo originale del piccolo borgo di cui mi accingo a dire, appunto Castrum Minervae- abbia lasciato stillare intorno a sé una piccola pioggia di lacrime, lacrime che, penetrando poi nel terreno e irrorandolo, hanno dato vita ad un humus del tutto speciale, a sua volta fonte e origine di una vasta gamma, meglio un concentrato, di bellezze naturali straordinarie e mirabili, del genere diffuso in questa ridente e amena plaga del sud Salento.

Un puntino quasi invisibile sulle carte geografiche che però, incorpora il pregio di ergersi un po’ ad una sorta di ombelico del connubio fra gli ultimi strati del verde Adriatico e le più vivaci distese, dalle sfumature blu intenso del mare Ionio.

Come per effetto di un miracolo strano, Castro è compostamente "vecchia", sulle orme della sua antica e gloriosa storia, intessuta anche da vicende di saccheggi e distruzioni per opera di orde piratesche e di bramosi eserciti conquistatori che salpavano le ancore dalle opposte sponde vicinissime del Canale d’Otranto.

Si offre, allo stesso tempo, gioiosamente "giovane", dal momento che è riuscita a conservare una compatta voglia di vita e di crescita: qui non esiste, se non in termini modesti, il problema del calo delle nascite, sicché i giovani, i ragazzi e i bimbi appaiono numerosi, almeno quanto (se non addirittura di più) viene dato di constatare con riferimento alle persone anziane.

Castro, la minuscola con appena 100/150 anime nei tempi lontani, fu tuttavia centro importante nella storia della cristianità. Difatti essa –molti non lo sanno– è stata per secoli, sede vescovile con giurisdizione su una decina di piccoli paesi del circondario, guidata da una lunga serie di Pastori della Chiesa dalle più svariate provenienze, anche se in prevalenza di origini meridionali.

Me li raffiguro, tali successori degli Apostoli, dimoranti sì nel loro “piccolo” palazzo vescovile, ma certamente in condizioni di naturale e dignitosa povertà: e, del resto, come poteva essere altrimenti, alla luce e sulla base di una comunità -e relative risorse- così risicate?

Chissà quale vita austera, al di là dei paramenti sacri e degli stemmi, dovevano condurre! Chissà come e con quali mezzi di fortuna si arrischiavano ad affrontare i viaggi a Roma, alla sede di Pietro per le periodiche visite “ad limina”! Nel corso di così lunghi spostamenti, sostavano in lussuose dimore pluristellate, ovvero si accontentavano dell’ospitalità di qualche “collega” o povero parroco dei paesi che attraversavano?

I vescovi rimasero insediati a Castro sino all’anno 1818, allorquando la diocesi, al pari di altri similari organismi di piccola portata, venne abolita. Mancando completamente i mezzi per il mantenimento della sede, alcuni Presuli erano stati costretti ad abbandonare la loro residenza e si erano trasferiti nei paraggi: prima nella località di Poggiardo e poi in un convento di frati della confinante Marittima.

Un breve inciso. A proposito di Marittima, possiamo sottolineare come i corsi della storia siano davvero strani, ove si pensi che il locale convento sia attualmente di proprietà di un nobile imprenditore inglese, Lord Alistair Mc Alpine. Questi, dopo una serie di ammirevoli e radicali restauri, l’ha adibito a sua stabile dimora e, in aggiunta, vi ha organizzato un’attività turistica d’élite nella formula del “bed & breakfast”.

Castro cancellata quindi, come diocesi, oramai da due secoli. Attenzione però, non si è trattato di un colpo di spugna in ogni senso! Le autorità ecclesiastiche hanno infatti conservato gelosamente l’antica e prestigiosa sede vescovile “castrensis”, tenendola annoverata fra le cosiddette “Chiese titolari”, quelle cioè che sono attribuite, come titolo e al momento della nomina, ai vescovi delle più svariate parti del mondo, i quali non siano pastori residenziali di una determinata città o sede, vale a dire: vescovi ausiliari, nunzi apostolici, prelati preposti ad organismi pontifici.

Per la cronaca, dal dicembre 1979, il titolo di “Vescovo titolare di Castro delle Puglie” è proprio di un Ausiliare dell’arcidiocesi della città nord americana di Milwaukee, S. E. Rev.ma Mons. Richard J. Sklba.

L’antica “Castrum Minervae“ si identifica attualmente con Castro Città o Castro Alta, adagiata su un costone/promontorio discretamente rialzato sul e cinta in parte da mura e una catena di castelli con torri cilindriche o a forma di parallelepipedo.

Per la verità, la torre più grande, da circa un trentennio, è stata “sdemanializzata”, passando così in capo ad un facoltoso medico, il quale l’ha trasformata in lussuosa residenza privata che vanta un panorama a dir poco mozzafiato: vi si spazia verso nord, quasi a voler rivolgere un rispettoso saluto ideale alla Serenissima, regina di sempre dell’Adriatico; verso est, dove a portata di mano si trovano le coste e i rilievi dell’Albania e della Grecia; verso sud, nella cui direzione lo sguardo, doppiato il capo di Santa Maria di Leuca, sembra invece rivolgersi all’universo delle civiltà musulmane, importanti e contrapposte.

Sostando presso questa torre, si ha veramente la sensazione di sollevarsi dall’esistenza quotidiana, con i suoi intoppi e le sue brutture e, per un arcano artificio, di salire, salire in alto.

A pochi passi, ecco il piccolo ma armonioso edificio dell’ex cattedrale, con annesso un raccolto e ben restaurato palazzo vescovile. Soffermandosi, sia pure per un momento, all’interno della chiesa, si riceve una ventata di sublimazione dello spirito: la mente e il cuore si spostano indietro e lontano; intimamente, viene a registrarsi la rievocazione di annunci di Natività, proclami di Resurrezione del Signore, canti solenni di “Te Deum” di ringraziamento, succedutisi nel corso di secoli; quasi, non ci si avvede più della comunità del terzo millennio che qui, appena all’esterno, è al contrario, pullulante, viva ed attiva.



Da due lati, l’ex cattedrale si affaccia su uno slargo molto accogliente e tranquillo, riparato dai venti, dove anche in pieno inverno, è concesso di godere beatamente del sole, che non brucia ma riscalda.

A breve distanza, si apre il piccolo ed infiorato vico S. Dorotea, terminante in un belvedere che si affaccia verso il porticciolo della marina, le incombenti Serre salentine e il capo di Santa Maria di Leuca.

A ridosso del primo castello si stende un‘altra piazzetta, classico punto di ritrovo dei castrioti in ogni stagione, largo impreziosito da un‘ampia terrazza quasi protesa verso il mare sottostante sul fronte nord est e nord, con veduta delle scogliere della Grotta Zinzulusa, di Porto Miggiano e di Santa Cesarea Terme.

E’ questo il sito da cui più frequentemente e maggiormente, si ha modo di impattare visivamente con la costa greco/albanese che d’inverno, grazie ad uno speciale fenomeno di rifrazione della luce volgarmente denominato “Fata Morgana”, sembra trovarsi a pochissimi chilometri di distanza, potendo addirittura distinguerne finanche strade, edifici ed altri punti cospicui.

All’estremità del paese, nella parte che conduce ad una piccola altura chiamata Monte Lacquaro, si usufruisce ancora di un’entusiasmante veduta su Porto Miggiano e Santa Cesarea Terme, nonché su altre rade e grotte marine, prima fra tutte la Grotta Romanelli.

A Castro città, le giornate si dipanano attive e vive ma, nel contempo, quiete e silenti: un autentico prodigio, rispetto alla frenesia e al movimento, almeno durante la bella stagione e nei week-end, che caratterizzano invece Castro Marina, rinomata località di soggiorno e turismo, frequentata da nutriti eserciti di villeggianti provenienti non solo dalle zone limitrofe, ma anche da tutta Italia (specie dal Nord) e dall’estero, i quali rimangono letteralmente estasiati dalla bellezza di questo mare ed inebriati dalle acque cristalline che ridanno vitalità e senso di benessere a chi vi si immerga. Fare il bagno a Castro Marina ingenera un sublime piacere, senza prezzo e senza paragone.

Nell’ambito del porticciolo, accanto ai villeggianti, si snoda anche la vita di un discreto numero di pescatori: invero, ora i pescherecci si sono ridotti appena ad un paio e, in più, rimangono solo i piccoli battelli dei singoli. Eppure, i pescatori castrioti conservano ancora un’abitudine, contratta nel corso delle lunghe stagioni delle battute di pesca in gruppo, quella di parlare tra di loro solitamente ad alta voce, così come facevano in alto mare per superare i rumori delle onde, della motobarca e dei movimenti dell’attività marinaresca.

Sebbene il mio paese di nascita sia la piccola località contermine di Marittima e, per ragioni di lavoro, abbia dovuto trascorrere diversi decenni fuori regione, Castro è da sempre un po’ parte della mia vita: conosco molti degli abitanti e auspico di arrivare ad essere considerato da loro, quasi alla stregua di compaesano.

Altro particolare: nel Santuario di Castro Marina, quarantacinque anni addietro, mi sono sposato. D’estate poi lascio agli ormeggi, nel porticciolo, la mia piccola barca a vela, per le quotidiane regate nella rada, al largo oppure nei dintorni. Un bel quadretto d’insieme, vero?

Infine, conservo presenti ed integri taluni ricordi, molto belli, di quand’ero ragazzo.
Innanzitutto, le gite su barche da pesca, rigorosamente a remi e dotate di grandi lampare, per accompagnare la statua della Madonna di Pompei in occasione della tradizionale processione a mare, nel mese di agosto.

Particolarmente impresso nella mente, un piccolo episodio risalente al 1950 o 1951, periodo in cui, durante le vacanze scolastiche,
mio padre soleva portarmi con sé in Municipio (dove era impiegato) per aiutarlo. Un giorno, allo sportello dell’anagrafe, mi capitò di rilasciare la prima carta di identità ad un bellissima ragazza bionda di Castro, di quindici o sedici anni, il cui nome di battesimo era Natalizia. Solo pochi anni fa, un po’ prima della scomparsa di detta persona, ho scoperto che si trattava della madre di due soci della cooperativa che custodisce le barche dei villeggianti, compresa la mia.

Successivamente, ho riferito dell’episodio a Luigi, padre dei predetti e vedovo della stupenda Natalizia; questi si è profondamente commosso ed ha voluto rendere partecipe della mia antica testimonianza un giovane nipote, il quale, da quella volta, ho notato che mi si rivolge con maggior rispetto e riguardo. Nel frattempo, purtroppo, anche Luigi se ne è andato.

E poi, le scalate dei costoni di Pizzo Mucurune, alla “caccia” di giovani gazze (qui sono chiamate ciole) nidificanti nei numerosi anfratti. Questi uccelli venivano portati in casa, in un certo senso addomesticati, e giungevano a far parte, per l’intera estate, dei nuclei familiari.

E che dire dei richiami ad alta voce, di buon mattino, da parte di pescatori rientranti dalla nottata trascorsa in mare, i quali si fermavano a riva in corrispondenza della “marina” e della semplice casettina di vacanza della mia famiglia per lasciare a mio padre piccoli panieri, o semplici incartate di pesci azzurri spesso ancora guizzanti? Minuscoli amarcord, intrisi però di profondo significato umano.

L’approdo di Enea fu una mirabile premessa di civiltà. Da umile beneficiato ideale, a distanza di millenni, desidero trarne ispirazione e concludere le presenti righe con un augurio: per i tempi a venire ed a favore di un’equilibrata crescita di Castro, il mio auspicio è che si introducano, accanto a quelle tradizionali e/o già in atti, ulteriori, nuove ed intelligenti formule di turismo culturale.

 

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