Caso kazako: Bonino, Alfano, i cosacchi e i capri espiatori

par Fabio Della Pergola
lunedì 22 luglio 2013

Alla fine di quello che il senatore del PD Walter Tocci ha definito "uno dei più gravi episodi della storia repubblicana", l'opinione pubblica nazionale e internazionale ha dovuto assistere a "evidenti bugie raccontate con iattanza da un ministro al Parlamento".

E nonostante sia ormai ampiamente diffusa la convinzione che il Ministro abbia mentito, il Partito Democratico lo ascolta, concorda che le sue bugie sono la vera verità e perfino applaude con entusiasmo allo scampato pericolo della sfiducia. In altre parole, con buona pace del senatore Tocci (evidentemente uno dei pochi che hanno mantenuto qualche traccia di dignità), sono complici di una menzogna di stato in funzione di una ricattatoria ragion di Stato messa in atto dal PDL e, supinamente, accettata dal PD.

Poi, bontà sua, uno si alza e chiede al Ministro di “valutare le dimissioni”: insomma, faccia lei.

Aggiungere la mia indignazione a quella dei molti, moltissimi altri, che hanno osservato con costernazione crescente l’evolversi del caso Shalabayeva non serve a molto.

Mi limito a fare mie - anche se non ho mai avuto niente a che fare direttamente con il PD - le parole con cui Valentina Sanna, presidente dell’assemblea regionale sarda del PD, se ne è andata: “Il partito è allo sfascio. Mi vergogno”. Perché nel Partito Democratico “non succede mai niente” dice la Sanna. Ce ne fossero come lei.

Anch'io me ne vergogno, per lei, per loro, per la loro storia, per la storia della sinistra, per chi li ha votati, per chi li ha ascoltati. E per i danni incalcolabili alla sua stessa parte politica che nominalmente dovrebbe essere la sinistra (o il centro-sinistra o almeno il centro-centrosinistra). Danni incalcolabili anche perché a raccogliere il disgusto e la ripulsa potrebbero essere di nuovo quegli arruffapopolo impenitenti e cialtroneschi della coppia "Gatto e Volpe a Cinquestelle" la cui sorprendente "verità" ci è stata chiarita pochi giorni fa.

Nel frattempo cadono le teste dei capri espiatori; con la differenza che nell’antica prassi biblica il “capro” era un capro. Qui si tratta di esseri umani, di uomini e donne.

Le prime vittime sono state ovviamente Alma Shalabayeva e sua figlia Alua che adesso, ci viene detto, “ringraziano l’Italia per quello che sta facendo per loro”. No comment.

Il prefetto Procaccini è la seconda vittima ormai accertata; la sua testa è rimbalzata di gradino in gradino sulle scale del Viminale per poi rotolare fuori sul marcapiede in pubblico ludibrio. Della sua testa naturalmente l’opinione pubblica non solo non sa che farsene, ma la considera ovviamente per quella che è, una testa di capro. Che espia le colpe di altri. E infatti lui se l’è presa un po’ a male sentendosi messo alla gogna per aver fatto quello che il Ministro gli aveva chiesto di fare: dare corso alle richieste kazake.

Le prossime teste saranno probabilmente quelle di quei solerti funzionari di polizia che si sono messi a disposizione dei cosacchi, così incredibilmente “invasivi” (terminologia del prefetto Pansa), obbedendo alle loro disposizioni senza mai trovare l'istintivo irrigidimento per tenerne a bada l’invasività. Magari mandandoli a parlare, come avrebbero dovuto, con il Ministero degli Esteri.

Adesso provate a ipotizzare che un paio di rom si comportassero in maniera “invasiva” in una questura italiana e immaginate quello che sarebbe successo. Non è ovvio dedurre che se il Gabinetto del Ministro, il Dipartimento di Pubblica Sicurezza del Ministero e poi la Questura di Roma, la Digos, l'Ufficio Immigrazione e non so chi altri, hanno sopportato pazientemente l’invasività kazaka è accaduto perché, banalmente, obbedivano o si adeguavano a desiderata arrivati dall’alto?

Fate cascare la testa del Questore (quello che "avevo altro da fare") e vediamo cosa dice mentre rotola.

Poi c’è un altro capro espiatorio ottimo da cucinare: “Sull’altare delle larghe intese, Emma Bonino è per molti versi un agnello sacrificale ideale... dalla sua presenza alla Farnesina non dipendono certo le sorti dell’esecutivo”. Quindi si può silurare perché a nessuno, destra e sinistra, incute timore. Non ha alcuna possibilità di ricatto. E, per la sua storia, direi che non ne ha nemmeno la volontà.

E c’è infatti chi continua nel suo mantra - ed è un mantra diffuso, nei giornali, nei blog, nei social network, nei commenti spicci - finalizzato a mettere tutti sullo stesso piano. Alfano e Bonino “non sapevano” ergo mentivano, ergo sono tutti uguali. Tutti colpevoli, senza distinguo, in una storia dove le sfumature di grigio invece sono ben più di cinquanta.

In particolare si tende a non fare alcun distinguo tra quelli che “non sapevano” (ma vengono sbugiardati dai sottoposti) e che però, nel mentre, davano disposizioni e facevano scattare sull’attenti davanti ai kazaki le forze di sicurezza del paese, e quelli che invece “non sapevano” perché informati poco e maliziosamente dalla classica "manina" (vedi la curiosa richiesta di informazioni sull’accreditamento diplomatico di una non meglio precisata Alma Ayen, un nome che non esiste), e che, di sicuro, non erano nella possibilità di far scattare le forze di polizia.

Anche Furio Colombo su il Fatto Quotidiano ha ritenuto di intervenire con una lettera aperta accorata in cui chiede ad Emma Bonino di parlare, di spiegare "se e perché il suo ministero è stato messo da parte" e "come tutto ciò sia potuto avvenire in violazione persino delle apparenze". Perché la "storia di Alma Shalabayeva è stata la storia di un gravissimo reato di Stato" e agli esteri la titolare è Emma Bonino "il Ministro degli Esteri più competente, creduto, autorevole" - scrive Colombo - una "che non ha mai mentito come Alfano e ha un passato molto diverso".

Troppo difficile da capire ? Il problema è individuare chi ha messo sotto pressione le forze di polizia in modo che soddisfacessero la richiesta dei kazaki: mettere le mani sull’intera famiglia Abyazov, non solo sul dissidente (definito “terrorista”). Cosa ormai chiara dalle informazioni che, goccia a goccia, filtrano.

Mettere sotto pressione le forze di polizia in modo che dessero ascolto a tutto ciò che i kazaki ordinavano, compresa la seconda perquisizione, compreso l’allarme per un possibile attacco terroristico all’aeroporto di Mosca - da cui la “fortunata” coincidenza di aver trovato un jet privato per un collegamento diretto con il Kazakhstan - compreso l’allarme per un possibile attacco militare al CIE finalizzato a “liberare” Alma Shalabayeva.

E con tutto questo pandemonio allarmistico sollevato dai kazaki, a nessuno che siano tremati i polsi all'idea che il CIE della capitale avrebbe potuto essere attaccato da forze paramilitari causando con tutta probabilità decine tra morti e feriti, la fuga di decine di extracomunitari detenuti, la fuga della signora Shalabayeva appena “catturata”, uno scandalo interplanetario, un disastro. I kazaki dipingevano scenari apocalittici e nessuno si allarmava abbastanza da farsi venire un dubbio, un tentennamento, un "fammi sentire il superiore"; un "riferiamo al Ministro". Ma scherziamo?

Questi funzionari non si sono allarmati perché sapevano di dover fare, presto e bene, tutto quello che i kazaki pretendevano. E non perché lo chiedevano i “cosacchi”, ma perché così era stato disposto dai loro diretti superiori in via gerarchica. Al culmine della quale sedeva il Ministro dell'Interno, quello che con iattanza ha raccontato al Parlamento le sue "evidenti bugie".

Fate cantare i livelli superiori - affidando la questione a una commissione indipendente, non a un prefetto appena nominato dallo stesso Ministro che è sotto schiaffo - e racconteranno al paese le scomode verità che i politici (di tutti i colori delle larghe intese) non vogliono che siano dette.

Nel frattempo è tassativo distinguere e rifiutare la logica annebbiante del "tutti uguali". Coinvolgere nel "tutti uguali" una donna come Emma Bonino con la sua intera vita dedicata alla difesa dei diritti civili e dei diritti umani significa offrire a quell'azzeccagarbugli democristiano - fedelissimo di Totò Cuffaro (uno condannato per favoreggiamento a Cosa Nostra) - che risponde al nome di Angelino Alfano una copertura etica che NON si merita. Non se la merita.

Lo ripeto: coinvolgere Emma Bonino significa offrire di riflesso ad Angelino Alfano una copertura di moralità che è impensabile regalargli: né per il suo curriculum personale - che è agli antipodi di quello della Bonino - né, tantomeno, per quanto è emerso finora da questa orribile storia di deportazione.

Per questo rinnovo l’invito accorato - accorato quanto la lettera aperta di Furio Colombo - a Emma Bonino perché se ne vada da questo governo ignobile sbattendo la porta e al più presto.

E lo faccia parlando a chiare lettere, così come può parlare una che, come lei, non si è "mai adattata ad alcuna ragion di Stato".

 

Foto logo: EUU/Flickr


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