Carceri psichiatrici: i nuovi lager della giustizia

par Franco Frediani
sabato 19 marzo 2011

Sembra di vivere in un mondo antico, anche se la questione è conosciuta da tempo. Scomparsa la parola manicomio è stata trovata una nuova formula, quella degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari; nuovi lager neppure tanto diversi come apparenza estetica. Dopo aver visitato queste strutture, la Commissione presieduta dal Sen. Ignazio Marino ha definito la situazione drammatica. La giustizia confina spesso in questi luoghi quei soggetti che ritiene socialmente pericolosi, senza distinzione alcuna. Attraverso quali criteri si operano queste scelte? La gravità dei reati non conta niente, e non di rado siedono l'uno accanto all'altro persone giudicate per reati gravi con altri che neppure sanno che cosa hanno rubato... Tutto questo in una atmosfera da film, surreale.

Due Ministeri che dovrebbero interagire ma che invece, né l'uno nell'altro, riescono a dare risposte convincenti.

Si parla tanto di riforma della giustizia, delle contrarietà peraltro legittime e fondate, che le Forze dell’opposizione stanno rivolgendo all’indirizzo della proposta di legge Alfano recentemente approvata; ma come sempre si lavora a compartimenti stagni. Giustizia, esecutività della pena, diritti umani e diritto alla salute, non possono essere aspetti disgiunti l’uno dall’altro. Non è facile affrontare questo discorso e comprendo la difficoltà di lettura che ne può derivare, ma non posso esimermi dal fare una analisi più ampia di quello che non può continuare ad essere pensato e gestito solo come “tema del giorno” piuttosto che tassello da inquadrarsi in una più ampia prospettiva. Attualmente sono presenti in Italia 6 Opg, Ospedali Psichiatrici Giudiziari, ovvero quelli che una volta erano più comunemente conosciuti come manicomi criminali. La prima domanda che si pone, riguarda la tipologia degli “ospiti” di queste strutture. Ritengo importante iniziare a far chiarezza su questo per capire bene gli ambiti di intervento. Questi 1479 soggetti, che si trovano attualmente reclusi in questi “nuovi manicomi”, sono persone affette da patologie psichiche, su questo non credo vi siano dubbi.

In questo caso dovrebbe essere competenza esclusiva del “settore” sanitario prendersi cura di loro; così come la valutazione della pericolosità sociale non può essere valutata e gestita fuori da questo ambito. La Corte costituzionale, con la sentenza 253/2003, ha stabilito l'illegittimità costituzionale della parte dell'articolo 222 del Codice penale che «non consente al giudice di adottare, in luogo del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, una diversa misura di sicurezza, prevista dalla legge, idonea ad assicurare adeguate cure dell'infermo di mente e a far fronte alla sua pericolosità sociale».

Come si può ben capire si continua a rimpallare le competenze senza pensare minimamente alla condizione umana di queste persone; spesso in questi luoghi si trovano a contatto di gomito soggetti condannati per reati gravi e altri che invece hanno commesso reati di entità lieve, magari neppure con una grossa consapevolezza di ciò che stavano facendo. Trattandosi di malati mentali, quali sono le competenze (nel senso di conoscenze specifiche della materia) che può vantare un Giudice per stabilire il grado di pericolosità sociale e il conseguente destino di queste persone? 

Si dice che La Legge sia eguale per tutti, salvo quando le cronache ci consegnano noti esempi di leggi fatte “ad personam” che dimostrano il contrario, ma se si pensa di decidere la vita delle persone non per quello che in realtà sono ma attraverso la sterile quanto anonima applicazione di articoli di legge, credo si possa chiudere subito il discorso! In questi “Ospedali” le condizioni di vita sono inaccettabili; materassi bucati al centro per consentire la caduta degli escrementi, brande arrugginite dalle urine, uomini trattati come bestie, abbandonati a se stessi per anni. Se la Giustizia “piange”, la situazione a livello di Sanità non versa certamente in condizioni migliori. E’ ovvio che i due Ministeri debbano interagire ma soprattutto il secondo deve essere cosciente della situazione e del lavoro che dovrebbe spettare ai suoi Operatori. E’ impossibile accettare ancora una sistema di intervento sanitario-coercitivo che altro non è se non il nuovo look dei lager degli anni 2000! Non trovo scollegato da questo neppure la pesante situazione che ci consegnano i dati del dossier “Morire in carcere”, pubblicamente consultabile sul sito gestito dall’Associazione Granello di Senape Padova, dove risalta il numero dei “suicidi” (66 su un totale di 177 decessi) avvenuti nel solo anno 2010 nelle cosiddette “carceri normali”.

Giustizia e diritto alla salute non sono in questo caso figli di madri diverse. Emblematiche le parole del Sen. Ignazio Marino che presiede la Commissione d’inchiesta sull’efficacia ed efficienza del Servizio sanitario nazionale, a proposito degli ospedali giudiziari: “ Chi vi entra, sembra non uscirne più”. Che altro dire. Mi sto solo chiedendo se non stiamo rileggendo il tristemente famoso racconto di Primo Levi, “Se questo è un uomo”.


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