Campania in svendita. Il sacrificio della patria nostra è consumato...

par Mark03
venerdì 1 maggio 2009

La fine di uno Stato e di una Nazione: la vendita delle sue ricchezze e della sua Storia

“Il sacrificio della patria nostra è consumato…” così Foscolo nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis esternava tutto il suo dolore per la cessione (o per meglio dire la vendita) di Venezia all’Austria. Ebbene il 18 febbraio 2009 parte della nostra “patria” è stata venduta; il ministro per i Beni e le Attività Culturali, Sandro Bondi, e il presidente della Regione Campania, Antonio Bassolino, hanno siglato a Roma un Accordo di Programma “finalizzato a promuovere la conoscenza, a sostenere la conservazione e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica degli ambiti territoriali e dei luoghi ed istituti della cultura” (Accordo di Programma, articolo 4).

Fin qui nulla di male, anzi bisognerebbe rallegrarsi del fatto che finalmente lo Stato si è deciso ad impegnarsi nella valorizzazione del nostro straordinario patrimonio archeologico e paesaggistico; ma leggendo meglio l’intero documento ci si rende conto che c’è in ballo qualcosa di più importante, infatti il protocollo prevede anche che la Regione Campania riceva in gestione alcuni siti di interesse culturale, come specifica l’articolo 1, punto 3 del suddetto Programma “lo Stato e la Regione Campania stipulano specifici accordi applicativi volti a definire forme operative di gestione in collaborazione dei siti”. La concessione dei monumenti alla Regione Campania è stata confermata più volte sia da Pio Baldi, direttore regionale per i Beni culturali della Campania,che ha spiegato “Si tratta del primo esempio di trasferimento di competenze, dallo Stato alle Regioni”, sia dall’assessore al turismo della Regione Claudio Velardi che ha ribadito che si tratta del “primo accordo con cui il Mibac affida la tutela e la valorizzazione di alcuni beni culturali della regione alla regione stessa”.

Ma quali sarebbero i monumenti interessati? Si tratterebbe di 23 monumenti, compresi tra i Campi Flegrei, l’isola di Capri, il museo storico di Nola, Velia e la certosa di Padula, insomma tutti gioielli unici al mondo per bellezza e valenza storica.

Si tratterebbe dunque di un primo passo verso quello che molti hanno definito “federalismo archeologico”, cioè di affidare alle istituzioni locali la gestione dei siti attrattivi del proprio territorio, il tutto sotto la supervisione della Sovrintendenza. Una cosa davvero lodevole, in teoria, che permetterebbe alle comunità locali di gestire direttamente i propri beni e quindi di usufruire dei relativi introiti, creando posti di lavoro e favorendo in questo modo lo sviluppo economico e culturale di queste zone.

In realtà le cose non stanno per niente così, infatti l’Accordo di programma, che poteva essere una occasione di rilancio per la Campania, si trasformato in un’arma a doppio taglio.

La Regione Campania ha infatti affidato tutti i siti archeologici che ha ottenuto in gestione ad una società mista pubblico - privata, la Scabec, con la quale collabora già dal 2003. La Scabec (Società Campana per i Beni culturali), come si apprende dal sito web della stessa società, è stata costituita nel 2003 dalla Regione Campania con lo scopo di “valorizzare il sistema dei Beni e delle Attività Culturali quale fattore dello sviluppo della Regione Campania”; essa però nel 2004, con una delibera della Giunta Regionale è divenuta una S.P.A. a capitale misto pubblico-privato: 51% Regione Campania, 49% privato. La Regione si è inoltre impegnata a finanziare questa società per dieci anni,con un finanziamento totale di 118 milioni di euro.

Una manovra a dir poco “sospetta”, in evidente contrasto con l’articolo 115 comma 3 del Codice dei Beni culturali e del paesaggio che recita “I privati che eventualmente partecipano ai soggetti indicati all’articolo 112, comma 5, non possono comunque essere individuati quali concessionari delle attività di valorizzazione”.

In poche parole la regione ha affidato parte del suo patrimonio artistico ad una società mista pubblico-privata, chiudendo nuovamente nel cassetto i sogni di rilancio e di sviluppo per i cittadini che non solo non potranno beneficiare dei proventi legati alle ricchezze del loro territorio, ma che saranno anche scippati della possibilità di gestire direttamente quello che è un patrimonio di tutta l’umanità, a maggior ragione delle persone che ci vivono vicino. Credo che se uno Stato, in tutte le sue rappresentanze, non sia in grado di gestire, di valorizzare e di proteggere direttamente il suo patrimonio culturale, abbia fallito completamente. Infatti i popoli che non sono in grado di tutelare e di conservare la loro cultura e la loro storia, non sono popoli, ma genti.


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