Caffeina /3 – La bellezza contro le mafie
par Fabio Chiusi
domenica 4 luglio 2010
Ci sono i versi di Isabella Morra, che testimoniano come già nel Cinquecento l’onore dei briganti potesse frapporsi fra gli umani sentimenti e divorare esistenze. Un codice che insegna a lavare le offese col sangue. Ed è proprio il sangue il filo rosso della narrazione, che riaffiora nel dolore delle madri di Plaza de Mayo, fazzoletti bianchi per raccogliere in un abbraccio la morte dei figli-dissidenti scomparsi, e allo stesso tempo sublima in parole di rinascita, di speranza: “Per me – dirà Hebe De Bonafini- essere madre ha significato accogliere nel mio grembo i miei bambini e farli nascere, e poi accoglierli di nuovo – nel mio grembo e nel mio cuore – quali militanti rivoluzionari”.
C’è il sangue che segna l’esistenza di Rita Atria, a undici anni privata del padre e a sedici del fratello – entrambi mafiosi. Che a diciassette trova il coraggio di lasciare la madre e confessarsi a Paolo Borsellino. Il sangue dello stesso Borsellino, e di Rita – soltanto una settimana dopo quel maledetto 19 luglio 1992 – incapace di sopravvivere alla morte del magistrato.
Ci sono le macerie, le morti insensate della Cecenia e il racconto del coraggio di Anna Politkvoskaja, la sua capacità di guardare nel profondo della barbarie e allo stesso tempo redimerlo attraverso i gesti di eroi dimenticati dalla storia e da quella stessa umanità che contribuiscono a salvare. Come Irina, che si frappone tra il soffitto della palestra di Beslan e i corpi dei figli e di Anna. Che “mentre tutto crollava”, intona una canzone e muore. “Senza un lamento, senza un grido, per non spaventarci”.
C’è il racconto di chi muore per coraggio, perché si oppone alla sudditanza ai racket, e di chi viene assassinato – ma da nessuno – così che i mandanti e gli esecutori rimangono ignoti per decenni. C’è chi trasforma i sogni delle donne in incubi di prostituzione, violenza, maltrattamento, morte. E’ la storia di Isoke Aikptani, ventenne nigeriana venuta in Italia inseguendo la speranza e fatta schiava, prima che prostituta. E’ il business delle mafie che fanno dell’Italia il “punto di smistamento per le donne che arrivano dall’Europa Orientale e dall’Africa”. E’ così che, di venti euro in venti euro, i corpi diventano cadaveri, e la dignità nulla.