Cade la Fort Alamo del copyright, ma i barbari tentano il sacco di Roma

par Michele Mezza
domenica 21 dicembre 2008

La notizia è di quelle clamorose, anche se i giornali italiani la relegano in fondo alle pagine degli spettacoli: la RIAA ( Recording Industry Association of America) la grande lobby delle aziende discografiche americane ha gettato la spugna, annunciando di di non voler più perseguire in tribunale coloro che scaricano file musicali, senza autorizzazione dei titolari dei diritti.

E’ la caduta di Fort Apache, un passaggio fondamentale nella nuova cultura della rete. 
E’ vero che la Riaa si era cautelata stringendo vari accordi con autorità territoriali, quali ad esempio lo stato di New York, per coinvolgere nella caccia ai “pirati” altri soggetti. Nella fattispecie l’idea sarebbe quella di trasferire ai providers di rete, i prestatori dei servizi di connettività, l’onere di vigilare sul downloading.

Una mossa certo insidiosa, che porterebbe i net providers a dover fare i poliziotti, introducendo, contemporaneamente il principio che il servizio di connettività è responsabile di quanto accade nel cyberspazio. 

Una scelta questa che ci porterebbe molto vicino anche alla cancellazione del concetto di net neutrality, attorno al quale si sta giocando la battaglia campale per il futuro della rete.

Ma è evidente che comunque la decisione della RIAA riconosce che la rete introduce nel sistema economico e sociale del pianeta un nuovo modello di transazioni commerciali non più basato esclusivamente su statuti proprietari.
E questo è un gran bel passo in avanti, soprattutto per il fatto che avviene nel pieno di una crisi finanziaria e commerciale che riconfigurerà l’intero sistema delle relazioni economiche e di intermediazione sul mercato.

La Ria giunge dopo molti anni -sono più di 35 mila le cause intentate dai proprietari del copy rigth solo negli Usa per difendere la proprià titolarità nell’uso della musica- a concordare con l’amministratore delegato della Sony Kunitake Ando che nel lontano 2003 dichiarò al settimanale Newweeck :”abbiamo ormai imparato da un’esperienza dolorosa che è uno sforzo vano cercare di impedire ai consumatori di riprodursi i file musicali”.



Una constatazione che non significava la resa del mercato ad un tardivo sovietismo d’annata, quanto il fatto che la musica, dopo il software prendeva atto che i nuovi modelli di networking, basati proprio sullo scambio e sull’ottimizzazione del prodotto mediante il suo uso, trasformava il modo di interfacciarsi dei produttori e dei consumatori, creando nuove forme di relazione e soprattutto nuovi modelli per generare valore d’uso.

Siamo ad una svolta dunque, che ora andrà orientata e finalizzata.
Al centro della scena, ovviamente più che la musica, ci sono i diritti video.
Ossia le cassaforti di Hollywood e dei tycoon televisivi.
Lì si giocherà la partita strategica che coinvolgerà proprio i modelli di fruizione della rete, mediante l’attacco che i net providers, al momento ancora legati ai content providers lanceranno contro la neutralità della rete.

D’altra parte è ampio il fronte dei service providers, come Google, ma anche come le nuove piattaforme di web tv, o i nuovi social nertworks, come Youtube o Facebocck.
Sarà fondamentale capire che ruolo vorrà giocare l’europa , e dentro l’europa le forze poltiche e culturali, come il fronte riformatore, e, ad esempio, i servizi pubblici radiotelevisivi.

Siamo finalmente ad un conflitto aperto e riconoscibile, dove i due lati dello schieramento sono identificati: bisogna ora schierarsi. 


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