CIE: nel limbo della legalità

par Segnali di fumo
martedì 16 luglio 2013

L’eccezione conferma la regola? No, l’eccezione sfugge alla regola, specialmente trattandosi di “eccezione al diritto”. Istituiti dal Testo Unico sull’Immigrazione (legge Turco-Napolitano) nel 1998, i CIE (Centri di Identificazione ed esplusione) costituiscono, in Italia, la prima struttura detentiva, seppure “temporanea”, di soggetti che non abbiano violato alcuna norma penale.

Ma c’è di più: trattandosi di provvedimenti correttivi di uno stato d’emergenza, i CIE risultano privi di un’organizzazione strutturale. La gestione, infatti, varia nelle tredici carceri attualmente funzionanti (Bari, Bologna, Brindisi, Caltanissetta, Crotone, Lamezia Terme, Gorizia, Milano, Modena, Roma, Torino, 2 a Trapani), pur presentando una costante: l’assenza di garanzie per quelli che vengono impropriamente definiti “gli ospiti della struttura”.

Italiani, stranieri, Nord, Sud, Destra, Sinistra, per una volta sono tutti d’accordo: i CIE non li vuole nessuno. Certo, come sempre, ciascuno ha le sue motivazioni, condivisibili o meno. Le elaborate soluzioni leghiste suggeriscono imperterrite l’immediato rimpatrio degli immigrati “senza se e senza ma”. D’altronde importa che siano uomini, donne e bambini sfuggiti al degrado ambientale, alla disgregazione sociale, a politiche instabili e repressive? Chissà.

Certo è che vanno chiusi. È un lusso che lo Stato non può più permettersi. Lo stesso governo, cosciente dell’insostenibilità di tali investimenti, diminuisce gradualmente i fondi alle strutture, determinando il collasso dei servizi, primari e non. Non era forse prevedibile il malfunzionamento di strutture adatte a una permanenza limitata (si parlerebbe di “trattenimento” e non di “detenzione”),ma legate a procedure burocratiche tutt’altro che brevi?

 

C’è poco da stupirsi se la detenzione straordinaria di diciotto mesi debba, ancora una volta, divenire una costante. Parallelamente a tali considerazioni economico-organizzative, tristemente riduttive, vi sono poi più approfonditi rapporti di Medici Senza Frontiere e Amnesty International (confermati dalla relazione 2003 della Corte dei Conti) che denunciano l’inadeguatezza delle strutture, la trascuratezza delle condizioni fisiche e psichiche dei suddetti “ospiti”, l’assenza di assistenza medica. Ciò che preme sottolineare è che si tratta di luoghi istituiti per far fronte a una situazione di emergenza che, per sopperire a una violazione legislativa, sono divenuti teatro della violazione di diritti fondamentali di esseri umani, seppure clandestini. Primo fra tutti il diritto alla salute.

Tale regressione - legislativa, politica, sociale - riconosciuta, eppure ignorata, è l’ennesima aggravante che fa di questa Italia un Paese poco reattivo e ancora impreparato a efficaci piani di integrazione sociale. È necessario che l’Italia, a questo proposito, rilegga i principi fondanti della sua Costituzione e provveda quanto prima non soltanto alla chiusura dei CIE, ma soprattutto a una gestione responsabile del del fenomeno.

Nadia Alessandra Benahmidou per "Segnali di fumo - il magazine sui Diritti Umani"

 

Foto logo: Mauro/Flickr

Mappa Cie in Italia: Wikipedia


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