C’è differenza tra un burqa, un velo e uno scolapasta? La Ministra Kyenge e le suore
par UAAR - A ragion veduta
martedì 6 agosto 2013
Bufera cattolico-tradizionalista sulla Ministra per l’Integrazione Cécile Kyenge. Durante un incontro alla festa del Pd a Cantù (CO), ha accennato alla questione del velo, che molte donne straniere provenienti da paesi islamici sono di fatto costrette a portare anche in Italia.
“Visto che la legge esiste già”, ha detto, nel caso fosse necessario fare un controllo si può chiedere alla donna di mostrare il viso. “Ma questo non deve valere soltanto per le donne perché vengono da un altro territorio, deve valere per tutti, compreso anche per le suore”, ha aggiunto, “perché non insistiamo su questo aspetto? Il principio è sempre quello: io voglio che la donna abbia il viso scoperto, allora applichiamolo veramente senza poter avere dei pregiudizi”.
I cattolici tradizionalisti del gruppo Christus Rex di Verona non l’hanno presa bene, presentando un esposto alla procura contro il ministro. Guardacaso, si appellano proprio alla legge Mancino che tutela dalla discriminazione religiosa. Proprio quella legge di cui gli anti-gay nostrani non intendono estendere per l’incitamento alla violenza e alla concreta discriminazione omofobica, sostenendo che ciò sia un attentato alla “libertà di espressione”. Ma che non hanno mai avuto nulla da ridire sul fatto che in Italia siano tuttora previsti i reati di bestemmia e vilipendio alla religione, ad esempio.
L’associazione integralista aveva già promosso assieme all’estrema destra una messa riparatrice a Vicenza contro un festival gay, officiata dal lefebvriano don Floriano Abrahamowicz. La diocesi locale aveva preso le distanze dai tradizionalisti, ribadendo però “l’importanza della famiglia formata dalla promessa di fedeltà che un uomo e una donna si scambiano nel matrimonio”
Il paragone di Kyenge è effettivamente sballato, perché stava parlando di velo integrale ma poi ha citato le suore, che non portano un velo che copre interamente il viso. L’impressione è che lungi dall’esprimere laicismo o antireligiosità come prospetta qualcuno, Kyenge — tra l’altro cattolica, nonostante un assessore leghista l’abbia definita “mussulmana di merda” — abbia voluto fare un paragone paradossale e azzardato per dire che se esistono delle leggi, vanno applicate per tutti, non solo sulle categorie più deboli.
Ma ancora più sballata è la reazione degli integralisti di Christus Rex: dov’è la volontà di offendere? C’è solo una capacità più unica che rara di offendersi. Tuttavia il problema c’è: non paragonabile al burqa che copre interamente il viso, ma casomai al velo.
Un tema “caldo” anche in altri continenti. Recentemente, nelle Filippine, il ministro dell’Istruzione, Armin Luistro, ha disposto che le insegnanti islamiche non indossino il velo in classe. Le alunne invece potranno portare il velo che lascia scoperto il viso (hijab) e usare abbigliamento “appropriato” rispetto agli standard morali islamici durante le lezioni di ginnastica. Il Ministro è cattolico nonché membro della congregazione di de La Salle: è stato contestato dai laici perché ricopre da religioso un incarico istituzionale, ma anche dalla Chiesa per aver introdotto una blanda educazione sessuale nelle scuole.
In Italia sussiste talvolta il problema delle suore che insegnano col velo, un simbolo inequivocabilmente religioso – usato in un contesto che dovrebbe essere laico – come la scuola pubblica da una figura che ha autorità sugli alunni. Un caso del genere in una scuola di Roma venne segnalato da una coppia anche alla nostra associazione.
Il diritto alla libertà religiosa si confronta (e si scontra) con il diritto di ricevere un insegnamento laico. Ma non solo: c’è anche il fatto che la facoltà di coprirsi il capo rappresenta un’eccezione a favore della religione. E che questa sia ingiustificata e porti a conseguenze tragicomiche lo dimostrano i casi dei pastafariani in Austria e ora nella Repubblica Ceca.
Alcuni “fedeli” del Prodigioso Spaghetto Volante hanno ottenuto il diritto di portare lo scolapasta in testa nelle foto dei documenti, proprio in nome della libertà di religione. Quale differenza esiste in questo senso tra un burqa, un velo da suora e uno scolapasta? Semplicemente la tradizione consolidata e l’opinione del credente che ritiene sacro un simbolo e pretende per questo di aggirare una legge che vale per tutti gli altri.
Se il battesimo è un simbolo religioso di appartenenza, l’abbigliamento orientato è un simbolo religioso di identità che ha come scopo la marcatura del territorio e degli individui che lo abitano. Non è una questione banale e non è, e non deve essere, una maniera per far passare eccezioni in favore della religione: se è possibile coprirsi il capo (a scuola o sulle carte d’identità) deve essere possibile per tutti.
Anche per chi non vuole separarsi dal suo berretto portafortuna o per chi vuole mostrare la sua appartenenza a club diversi da quelli religiosi. E naturamente anche per chi, sfidando l’ilarità di molti, vuole giocosamente portare un messaggio di libertà indossando scolapasta…