Bruno, la nuova creatura di Sacha Baron Cohen

par Ambra Zamuner
venerdì 16 ottobre 2009

Sacha Baron Cohen torna con una nuova creatura polemica: "Bruno" aspirante modello austriaco dichiaratamente gay e conduttore del programma Funkyzeit, il più famoso show sulle nuove tendenze nei paesi di lingua tedesca.

Il sogno di Bruno però è quello di diventare famoso a livello mondiale. Ci prova con le interviste, il suo punto forte, accogliendo Paula Abdul nella sua nuova casa di Los Angeles, cercando un’associazione benefica da promuovere per farsi pubblicità e visto che molte sono già prese e di moda, tenta di risolvere la questione israelo-palestinese, prova a buttarsi direttamente su una passerella durante la sfilata di Agatha Ruiz De la Prada a Milano (sfilata vera tra l’altro) da cui viene però cacciato in malomodo, ci prova adottando un bambino africano pensando: "Se per Madonna e Brangelina ha funzionato deve valere anche per me" facendolo arrivare in una scatola sul nastro dei bagagli in aeroporto e infine si rende conto che tante star di Hollywood sul tappeto rosso hanno una cosa in comune: "Sembrano tutte così etero".

Comincia quindi il suo viaggio nelle case del perdono statunitensi che hanno come scopo quello di "curare" l’omosessualità nel nome del Signore.

Il personaggio di Bruno ha fatto capolino nello spettacolo del ’98 su Paramount Comedy Channel in piccoli sketch spingendo la Universal ad acquistarne i diritti. Le strambe figure di Cohen erano vincenti già allora perché gli intervistati, spesso blasonati o importantissimi a livello politico, erano totalmente all’oscuro del fatto che sarebbero stati gestiti da un comico.


Cohen ha sempre finto di fare l’attrezzista prima di accendere le camere, portandosi dietro un attore serio e vestito di tutto punto tanto da sembrare un giornalista. Una specie di Iena in versione idiota con qualche influenza Moore-iana.

Anche perché in mezzo al trash e alle scenette di basso contenuto, in questo film si celano tematiche sociali controverse: la polemica sulla magrezza nel mondo della moda, il razzismo ancora dilagante, le unioni gay e l’omosessualità "curata" in alcuni stati della moderna America come se fosse una malattia inaccettabile.

Tralasciando la sessualità esplicita che qui è davvero al limite del cattivo gusto e sempre poco filtrata, lo sguardo oltraggioso e critico di Cohen punta a far riflettere un po’ sul mondo in cui si vive, sulle questioni davvero importanti e su quelle talmente assurde da poter creare personaggi indecenti fino alla fine della vita del pianeta.

Per quanto mi riguarda ho riso tanto sulla canzone scritta da Bruno e sul suo videoclip che però troverete solo prima dei titoli di coda, nel resto del film c’è più stupore e scalpore che divertimento. Un film sicuramente riuscito quindi, ho immaginato che fosse lo scopo ultimo di una pellicola del genere.



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