Brexit e il futuro dell’Europa

par Davide Battista
giovedì 5 gennaio 2017

L’economia internazionale è da tempo in forte ripresa, i Paesi di tutto il mondo sono andati avanti e in molti casi non si sono neanche accorti della Brexit.

La Gran Bretagna aveva fin’ora avuto sempre un ruolo di vantaggio all’interno dell’Europa. Era membro del mercato comune senza rientrare nella moneta unica e dalla sua parte si era assicurata una serie di opzioni di non partecipazione rispetto ad un certo numero di questioni. Eppure tutto ciò non ha impedito di votare contro la permanenza in UE. Come mai? La risposta potrebbe essere vista nelle vicende che sta attraversando l’Europa nel suo processo di riforme legato all’andamento dell’economia. Eppure quasi nessuno degli osservatori, anche tra i più attenti, sembra volerne parlare apertamente. Da sempre, ma sopratutto dalla crisi del sistema finanziario del 2008, la riforma della struttura bancaria Europea è all’ordine del giorno. Ciò è sicuramente vero nei lavori riservati all’interno delle istituzioni europee, ma ancor di più sui tavoli negoziali con il resto del mondo: G8, Fmi, Paesi “non più tanto emergenti” del BRIC, su tutti.

Dal canto suo Londra è sempre stata attenta ad evitare che l’istituzione dell’Europa potesse prendere realmente vigore. Preoccupata meno dall’esigenza di sviluppare il mercato comunitario e più dal fatto che potesse uscire dal controllo delle sue istituzioni finanziarie, assicurazioni, banche e sistema collegato (shadow banking). Le autorità europee sono state costantemente indebolite dagli interventi inglesi. Anche attraverso le sue numerose diramazioni. Così, mentre la Banca Centrale Europea chiedeva riforme strutturali, i giornali nazionali dei vari Paesi traducevano in aumento delle tasse. Mentre dall’Europa veniva sollecitata la lotta alla corruzione i media nazionali riportavano l’urgenza di ridurre le garanzie per i lavoratori. Oppure a fronte di studi e raccomandazioni dirette all’armonizzazione dei sistemi contabili e fiscali gli esponenti politici e i giornali nazionali riportavano: "riforma delle pensioni". E così via.
Nel frattempo i mercati hanno lavorato, il debito in Europa è cresciuto e l’economia ha ristagnato. I paesi extra UE hanno cessato di comprare obbligazioni europee, le azioni sono state sempre più evitate e il fabbisogno derivante è stato colmato dalle enormi iniezioni di liquidità della BCE. Ma come si è arrivati alla Brexit, cosa c’entra l’Inghilterra in tutto questo? Proprio negli ultimi mesi, Mario Draghi, presidente della Banca Centrale Europea, aveva avvertito che qualunque fosse stato l’ammontare di denaro che la BCE avesse messo sul piatto sarebbe ormai stato inefficace, richiamando l’attenzione all’alternativa tra le riforme bancarie o il default dei bilanci degli Stati.

E’ forse utile ricordare la prassi che è alla base del sistema bancario europeo. Infatti prassi consolidata degli europei è quella di generare debiti per poi non pagarli spostandoli nei bilanci degli Stati o in quelli delle loro banche a seconda di dove cada l’occhio dei mercati. Oppure di nasconderli nella valorizzazione di asset speciali. Ma questo fu appunto l’epilogo della crisi del 2008: allora, l’aver nascosto l’enorme debito europeo nella valorizzazione degli immobili, e relativi strumenti collegati sparsi in tutto il mondo, non ha risparmiato i possessori americani dei subprime (simili alle nostre obbligazioni non garantite) legati ai mutui immobiliari, travolgendo prima la banca Bear Stearns, poi Lehman Brothers e ancora la compagnia di assicurazioni più grande del mondo AIG e tutto il sistema assicurativo mondiale collegato comprese Fannie Mae e Freddie Mac.

Ad oggi a fronte dell’inerzia conclamata dell’Europa, dopo quasi dieci anni da quei fatti, l’Europa si è trovata costretta ad approvare procedure di salvataggio degli Stati nazionali. E’ il caso del c.d. bail in, dei limiti crescenti di liquidità richiesti alle banche, unione bancaria ed altre misure in agenda. Palliativi. Per non cambiare nulla dei comportamenti che quei debiti producono. Chiaramente diretti a prendere tempo, sperando che l’economia mondiale si riprenda e faccia sparire magicamente i debiti dell’Europa.

Ma l’economia mondiale si è già ripresa ed i Paesi di tutto il mondo sono andati avanti preoccupandosi di isolare finanziariamente il pericolo europeo. Gli Stati Uniti sono stati i primi ad aver vietato alle banche di fare investimenti imponendo la separazione tra il prestito e l’investimento. A riformare le assicurazioni, imponendogli procedure standard e non più discrezionali nel ripagare le prestazioni agli assicurati. E sono oggi in crescita continua con disoccupazione “zero tecnico” e salari e garanzie per i lavoratori in crescita.
Numerose Free Trade Areas, aree di libero scambio, stanno nascendo rendendo obsoleto lo stesso modello che è alla base dell’Europa. Il vecchio continente è ormai del tutto isolato dai trattati tra USA e paesi asiatici, USA e America del sud (o USA e Medio Oriente, Iran, ecc.). Aree di libero scambio ora pronte per essere armonizzate e uniformarsi tra loro. Questi Paesi semplicemente non ritengono più l’Europa un partner commerciale affidabile, pensano a sfilarsi il più possibile e in molti casi non si sono neanche accorti della Brexit. Per tutti essi le regole sono semplici: come in tutti i mercati per farne parte bisogna semplicemente onorare gli scambi corrispondendo le prestazioni. L’Argentina ha ripagato per es. per intero i possessori dei loro bond di tutto il mondo che erano rimasti insoddisfatti dal tempo del default del 2001.

E’ forse ora chiaro perchè l’Inghilterra ha scelto di sfilarsi dall’Europa, da un lato per mettersi al riparo dai suoi debiti (che lei stessa gli ha imposto di generare) e dall’altro per non dover sottostare ad una reale riforma del sistema finanziario.

Qui è ora dove siamo oggi. Ma come sostiene George Soros, tutta l’Europa, incluso il Regno Unito, soffrirà dalla perdita del mercato comune e dalla perdita dei valori comuni per la cui protezione l’Unione Europea era stata disegnata. Almeno fin quando l’Europa non è stata smantellata nelle sue funzioni, separata dalla volontà e dai bisogni dei suoi cittadini ed asservita a conglomerati finanziari zombie. La strada intrapresa d’allora è, sempre più evidentemente, quella di una distruzione potenzialmente violenta dell’Europa.

In alternativa, ci troviamo ora delle strutture istituzionali che i cittadini possono liberare e rimettere al lavoro secondo processi finanziari e sociali di tipo democratico. La capacità dei cittadini e dei governi di lasciar fallire banche ed assicurazioni senza coinvolgere i bilanci degli Stati e la salvaguardia delle persone farà la differenza tra l’aggiornamento dei modelli economici e la dissoluzione delle istituzioni. Restiamo convinti che, alla luce delle conseguenze che Brexit provocherà nelle settimane e nei mesi avvenire sempre più persone si uniranno insieme. 

(sb-ic.com)


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