Breivik e la sua passione per Lacoste, ma la casa di moda non ci sta
par Laura Murino
mercoledì 7 settembre 2011
Anders Behring Breivik non smette di far parlare di sé. Dal giornale norvegere DagBladet arriva l'ultima polemica nata in seno alla tragedia del 22 luglio scorso a Oslo e sull'isola di Utoya.
La famosissima casa di moda sportiva Lacoste, infatti, ha fatto sapere che non vuole essere associata al caso Breivik. Avrebbe chiesto direttamente alla polizia, infatti, di non far indossare i vestiti col loro marchio durante le udienze del killer, in seguito alle sue apparizioni in pubblico, durante le quali Breivik indossava le polo della marca e altri capi con l'inconfondibile coccodrillo verde.
Breivik è stato sotto i riflettori di mezzo mondo, facendo balzare le sue foto sulle prime pagine di tutti i quotidiani, e la visibilità che ha dato al logo della Lacoste non è piaciuto ai suoi Pr. Così la casa di moda, accortasi che il killer indossava spesso le sue polo e i suoi prodotti, ha ritenuto che non fosse un'associazione positiva con la propria immagine commerciale.
Oltre alle immagini che hanno occupato per settimane le prime pagine dei quotidiani, la Lacoste viene presa di mira anche nel manuale scritto da Breivik e pubblicato su internet, nel quale ci sono alcune interessanti indicazioni su come si dovrebbe vestire un perfetto crociato per attuare il suo piano per sconfiggere il multiculturalismo.
Dapprima si parla dei requisiti necessari per incontrare fornitori e corrieri senza essere notati e quindi arrestati. Bisogna cercare, quindi, di mimetizzarsi, di apparire come una persona comune. Insomma, stile di vita e vestiti appropriati per attuare una strategia ben precisa: apparire, sembrare e agire come "un tipo ben educato, europeo e conservatore". Si legge così: "Clothing: Lacoste etc, conservative colours (low cost brands will not be as potent in sending the same 'psycho-socio-economic signals' required to 'trick/soothe' the target.)".
Ma i giudizi sulla marca non sono finiti qui, anzi, ad un certo punto viene ammesso un amore per i capi d'abbigliamento del coccodrillo verde:
"Porto praticamente solo i vestiti migliori della mia "vita passata" (ovvero fino al momento in cui Breivik decise di divenire un crociato, Ndr) e cioè capi molto costosi e di marca, maglioni Lacoste, etc" ("I wear mostly the best pieces from my former life, which consists of very expensive brand clothing, LaCoste sweaters, piques etc").
E le conferme sono sempre state sotto gli occhi di tutti. In una delle sue prima fotografie pubblicate insieme all'identità del killer, infatti, risalta chiaramente il verde del coccodrillo sul nero del suo maglione.
Secondo quanto scritto nel memoriale, la Lacoste risulterebbe essere uno dei simboli dell'europeo medio, conservatore e - perché no? - anche pensionato. Il marchio Lacoste da cosa sta prendendo le distanze? Dall'associazione a un killer di estrema destra che vorrebbe uccidere chiunque non abbia il suo stesso colore e non la pensi come lui in fatto di religione e politica, oppure dalle dichiarazioni sull'immagine che i propri capi trasmettono?
La Lacoste dovrà fare i conti non solo con l'associazione visiva che c'è stata tra un 33enne che ha ucciso decine di persone a sangue freddo e il loro logo, ma anche e soprattutto con le dichiarazione che Breivik fa riguardo alla casa di moda.
Indossare un loro capo equivarrebbe a trasformarsi nello stereotipo del tipico europeo, bianco, ben educato e di idee conservative. Uno stereotipo che secondo Breivik funzionerebbe:
"Noterete ben presto come, con questo nuovo look, eviterete qualsiasi controllo condotto normalmente in base a stereotipi e sospetti comuni, e riuscirete a incrementare in maniera sostanziale il margine di successo della vostra 'fase di sviluppo'" ("You will quickly notice that, with this new façade makeover, you will avoid all the scrutiny usually reserved for classical â suspect stereotypes and manage to substantially increase the success rate of your acquirement phase.")