Brasile. Un colpo al cuore della sinistra
par Antonio Moscato
sabato 19 marzo 2016
Raúl Zibechi, commentando su “Brecha” le ultime vicende del PT brasiliano, non si limita a denunciare le responsabilità della destra e di una magistratura rimasta quasi tutta conservatrice, ma si domanda cosa ha portato a questa situazione, che comunque rappresenta un “colpo al cuore della sinistra”. Zibechi dice “sinistra latinoamericana”, ma non è difficile immaginare gli effetti che un’eventuale caduta di Lula e Dilma sotto i colpi di manifestazioni di massa potrà avere anche nella già disastrata sinistra europea.
La ragione di questo effetto domino è legata al ruolo propulsivo che il PT brasiliano aveva avuto negli ultimi venticinque anni. Già nel luglio 1990 quel partito, nato appena dieci anni prima, e ancora con un modesto peso nazionale, aveva avuto la forza di attrazione sufficiente a convocare nell’hotel Danubio di São Paulo la riunione di ben 48 partiti e organizzazioni dell’America Latina, per discutere la nuova congiuntura internazionale successiva alla caduta del muro di Berlino e soprattutto le conseguenze della diffusione nel continente di politiche neoliberiste condivise dalla maggior parte dei governi. E anche per questo accresciuto prestigio internazionale il PT nel corso degli anni Novanta ha conquistato molte grandi città, a partire da San Paolo a Porto Alegre, dove aveva lanciato il bilancio partecipativo, riprodotto in parecchie decine di città brasiliane e latinoamericane, ed esaltato in parte della sinistra europea.
Per due volte Lula aveva tentato di essere eletto presidente della repubblica, ma era stato sconfitto per pochi voti di differenza, molti sospetti di voti irregolari in vaste zone del paese e la certezza che fossero state determinanti le campagne di stampa unanimemente ostili. Nel 2002 riesce ad essere finalmente eletto, ma con una novità inquietante: per vincere ha tessuto una rete di alleanze ibride, interclassiste, e a volte con forze anche apertamente corrompibili.
Ma questo dato, denunciato dalle minoranze interne al PT più coerenti, sfugge per anni a gran parte della sinistra, anche perché nel frattempo è cresciuta la partecipazione ai Social Forum mondiali convocati a Porto Alegre. Al terzo, nel 2003, che coincideva con i primi passi di Lula presidente, parteciparono più di centomila persone di 156 paesi, tra cui molte personalità di notorietà mondiale, che intervennero in 1300 seminari o tavole rotonde. Pochi si resero conto che una delle sigle che sponsorizzavano l’iniziativa era quella della potente multinazionale (un tempo azienda di Stato) Petrobras…
Le ripetute vittorie elettorali di Lula e poi di Dilma Rousseff erano dovute soprattutto al grande prestigio delle loro persone, soprattutto del primo, ma avevano registrato contemporaneamente un progressivo declino numerico e anche una profonda mutazione del PT, il partito in cui inizialmente si era raccolto il 90% della variegata sinistra brasiliana. La maggioranza di sinistra che non c’era più in molte città simbolo, a partire da Porto Alegre, gradatamente veniva sostituita da coalizioni interclassiste del tutto eterogenee, messe insieme spesso con la corruzione, finanziata da Petrobras e da altre potenti imprese multinazionali come Odebrecht nel settore grandi costruzioni, o Vale do rio Doce, gigante del settore minerario, operante dal Canada all’Angola.
Il più famoso scandalo (prima del recentissimo Lava Jato) era stato il Mensalão, che nel 2004 travolse il PT e portò in galera diversi suoi dirigenti, ed era finalizzato proprio all’acquisto di un certo numero di deputati di destra, che venivano stipendiati mensilmente (da qui il nome) per votare a favore di provvedimenti proposti dal governo.
I voti popolari nelle elezioni per la presidenza arrivavano ugualmente grazie al carisma di Lula e la gratitudine degli strati più poveri beneficiati da alcune misure assistenziali prima assenti, come la Bolsa familia, finanziate con le briciole delle enormi ricchezze accumulate dalle multinazionali brasiliane operanti ed egemoni in tutto il continente. Briciole dispensate volentieri per ottenere un efficace tranquillante sociale, sotto le bandiere di un governo di sinistra.
Ma intanto il partito dei lavoratori era stato logorato dalle defezioni e dagli scandali. La polizia e la magistratura invece rimanevano le stesse, come confermano i frequenti assassinii di sindacalisti combattivi rimasti impuniti, ma anche la sorte di molti abitanti poveri (e negri) delle favelas che sono stati sloggiati con la violenza, o anche uccisi o fatti sparire, ad esempio durante i lavori per le costosissime megaopere concepite per i Mondiali di Calcio e per le Olimpiadi. Durante le presidenze di Lula e di Dilma la morte violenta di persone di colore è aumentata del 40%. E moltissimi appartenenti agli strati più poveri della popolazione sono rimasti vittime di epidemie e di un degrado progressivo della sanità pubblica.
La riforma agraria si è bloccata da anni a livelli minimi, e il MST (movimento dei senza terra) è rimasto un fiancheggiatore inquieto del governo; questo viene ancora appoggiato elettoralmente dalla maggioranza dei contadini grati per i piccoli benefici assistenziali ricevuti, ma è sempre più criticato dal nucleo fondatore del movimento dei sem terra, e in genere dai quadri organizzatori, consapevoli dell’aumento delle disuguaglianze sociali per l’enorme appoggio dato alle multinazionali.
In un paio di casi Lula non ha esitato a minacciare l’uso dell’esercito nei confronti di Bolivia ed Ecuador (paesi con governi ugualmente “progressisti”) per difendere gli interessi di Petrobras nel primo e di Odebrecht nel secondo (l’impresa era stata espulsa dal presidente Correa per aver costruito una diga risultata subito insicura oltre che fatturata a prezzi assurdi). Petrobras e Odebrecht sono oggi nell’occhio del ciclone per tutte le tangenti pagate. Probabilmente non per i lussi personali di Lula o di Dilma, ma certo per finanziare la loro disinvolta abitudine di comprarsi deputati dell’opposizione… Ugualmente non difendibile.
La crisi attuale ha dunque radici lontane, pur essendosi indubbiamente aggravata negli ultimi due anni per la contrazione dell’economia dovuta alla diminuzione del prezzo di petrolio e delle materie prime, e alla netta riduzione delle esportazioni verso la Cina.
Per capirla, non serve guardare solo l’operato di Dilma o anche di Lula nell’ultima fase, ma occorre tener conto delle difficoltà incontrate da analoghi esperimenti di governi cautamente e moderatamente progressisti, come quello venezuelano (Venezuela: la sconfitta divide i chavisti). Una riflessione più generale era nell’ottimo articolo del boliviano Pablo Solón, recentemente pubblicato sul sito, e ancora poco visitato, forse per il titolo poco attraente e l’apparente marginalità del paese su cuiSolón basa le sue osservazioni : Alcune riflessioni, autocritiche e proposte sul processo di cambiamento in Bolivia.
Mentre scrivo, in Brasile stanno cominciando manifestazioni a sostegno del governo, ed è augurabile che riescano ad arginare almeno in parte l’offensiva della destra che attribuisce al PT e al governo la causa esclusiva di tutte le difficoltà. Solo una mobilitazione popolare può salvare da un’opposizione revanscista e famelica le pur modeste conquiste sociali della prima fase del lulismo. Dal successo della giornata di lotta di oggi 18 marzo può dipendere la sconfitta di chi ha usato il malcontento popolare (non solo della borghesia, come si può dedurre anche dal numero dei partecipanti alle iniziative dei giorni scorsi) per caldeggiare il ritorno della dittatura militare.
Con espedienti puramente amministrativi come la nomina frettolosa di Lula a ministro per sottrarlo alle grinfie di una magistratura faziosa invece non si può andare lontano. Tanto più se la misura viene discussa incautamente per telefono, ignorando che le intercettazioni formalmente vietate in ogni paese sono universalmente utilizzate per colpire gli avversari. Anche se formalmente illegali, sono usate largamente ed efficacemente per infiammare gli animi…
Occorre ripartire da un’autocritica profonda non solo su fatti specifici, ma sul culto messianico del capo a cui si è perdonato tutto.
La sinistra che in tutto il mondo ha chiuso a lungo gli occhi rispetto all’involuzione del progetto originario, ha grandi responsabilità su questo terreno. Ma non sembra avviata sulla buona strada. Ad esempio “il manifesto” ha titolato oggi una interessante intervista a Ricardo Antunes: «Dilma è pulita, Lula va difeso ma il PT no». Un titolo fuorviante. Nel testo si dice infatti che “l’unica persona che non ha avuto un coinvolgimento personale è Dilma”, riferendosi però evidentemente soltanto alla probabile non partecipazione personale ai benefici della corruzione, che invece è diventata in questi anni un sistema generalizzato per governare ad ogni costo. E che non poteva essere quindi ignota a lei e a Lula.
Antunes dice anche che “il PT è stato il servo obbediente del peggior tipo di borghesia finanziaria, industriale, agraria, commerciale, con la quale ha avuto grandi affinità elettive”. È mai possibile che Lula e Dilma non lo sapessero e non si opponessero?
Sempre Ricardo Antunes dice ironicamente che “Lula aveva ragione quando ha detto che durante i suoi governi le banche sono diventate ricche come mai prima. Ha avuto una relazione ombelicale con la borghesia delle grandi opere”. Sempre a sua insaputa? Impossibile.
Oggi il pericolo maggiore viene non dalla destra estrema, ma da quella annidata nella maggioranza governativa, come il vice presidente Michel Temer del PMDB (Partido do Movimento Democrático Brasileiro), che probabilmente assumerà la presidenza in caso di procedimento nei confronti di Dilma Rousseff. Ma era proprio obbligatorio collaborare con gente di questo tipo? Ovviamente no, a meno che non si ritenesse che governare ad ogni costo è un imperativo categorico. Moltissimi militanti, tra cui gran parte dei fondatori del PT, sono usciti dal partito da anni e sono apparsi sconfessati dai voti ottenuti comunque da Lula e Dilma, certo molto superiori a quelli del PSOL. Ma il bilancio di questa esperienza si potrà fare presto, speriamo senza un tragico epilogo.