Braccio disarmato - Intervista a Federico Montella

par Sergio Nazzaro
giovedì 6 novembre 2008

Federico Montella è il figlio di Fortunato, una delle ultime vittime del degrado e della violenza che si respira nella provincia di Napoli e Caserta. Fortunato Montella reagisce alla rapina della sua macchina la notte tra il 21 e il 22 ottobre. I rapitori lo trascinano con la macchina fino a strappargli un braccio e maciullarlo sotto la macchina. Così mentre in Italia ci sono raccolte di firme e indignazione contro la camorra, i comuni cittadini muoiono come mosche nell’indifferenza dei media e della coscienza nazionale.

 

Quando avete compreso che l’uomo incastrato tra le lamiere era vostro padre?

“Alle 9 del mattino, dopo 5 ore di ricerca, dopo aver telefonato a tutte le caserme di carabinieri, polizia stradale, vigili urbani... "non vi preoccupate vi chiameremo noi", senza sapere cosa era successo, arrabbiati per l’ipotesi di aver un padre forse assassino, per me stava crollando un mito. 5 figli uniti più che mai, pensando al da farsi, ma con l’amaro sospetto che qualcosa di tragico stava per succedere. Poi alle 9, il tenente Cortese vuole parlare con me, mi chiede l’età e cosi capisco tutto”.


In che condizioni era il corpo, era minimamente riconoscibile?

“Andiamo all’obitorio e non ci permettono di vederlo, dicendo che le condizioni erano pessime ed era irriconoscibile. Lo vedo io e i miei zii 2 giorni dopo per il riconoscimento. Speravo non fosse lui, invece era mio padre ancora abbronzato, i sui capelli bianchi e lì per la rabbia, ho solo gridato "bastardi ". Come si può morire in quel modo?”.


Perché tuo padre ha reagito alla rapina? Non poteva cedere alle richieste dei criminali, ma salvarsi la vita?

“Per tanti anni ha posseduto un auto vecchia e consumata. Tutto ciò che aveva serviva per curare mia mamma, "la malattia è un lusso" ripeteva spesso. Eppure con tanto sacrificio e coraggio ha lottato 20 anni contro la malattia di mia madre fino ad un anno e mezzo fa quando il cancro è stato più forte di ogni cosa. Aveva sconfitto anche lui una brutta malattia si era ripreso e continuava a lottare. Era la persona più combattiva che io abbia mai conosciuto, un guerriero. E’ vero, meglio un vigliacco vivo che un eroe morto.
Ma mio padre non accettava i soprusi, le ingiustizie, per lui questa società era ormai malata di cancro, e forse ha creduto di potercela fare come gli è stato possibile per tanti anni, ma anche questa volta il cancro è stato più forte. Mio padre non è morto per l’auto, è morto per i suoi principi. E speriamo non invano”.


Su questa morte orribile è calata subito una profonda cappa di silenzio: da una parte grandi mobilitazioni  anti camorra, dall’altra il silenzio sulle morti più orribili e solitarie, come lo spieghi?

“Non voglio fare polemiche, ma in fin dei conti è morto solo un povero disgraziato, solo un pensionato”.


Chi vi è vicino realmente in questi giorni e di chi, invece, non avete proprio avvertito la presenza?

“La famiglia, gli amici. La Rai avrà i suoi motivi, ma almeno loro non hanno dimenticato mio padre. Mi hanno chiamato, si interessano, il loro appoggio il loro aiuto si fa sentire. E spero che grazie a loro, grazie a voi, si continui a lottare e a fare tutto il possibile affinché tutto questo non si ripeta più”.


A che punto sono le indagini, c’è una possibilità di risalire agli autori dell’omicidio?

“I carabinieri di Casoria sembrano ottimisti, dicono che stanno seguendo una pista e aspettano i riscontri scientifici”.


Cosa rimane il giorno dopo aver vissuto una tragedia di questa portata?

“Rabbia, dolore. Angoscia, paura. Ma anche la voglia di continuare e di non arrendersi”.


Credi che il Sud potrà mai cambiare per davvero, o avremo sempre tragedie di questo genere?

“Io credo in Dio, e credo nella sua giustizia. Mio padre è solo una delle tante vittime di questo mondo malato, e purtroppo credo che, sarà anche uno dei tanti morti inutili, uno dei tanti dimenticati”.


Cosa vorresti dire a tuo padre in questo momento?

“Solo mi manchi, ti voglio bene e te ne ho sempre voluto. Sei un grande".


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