Borse nel cul de sac del debito incomprimibile

par Professional Consumer
sabato 5 giugno 2010

Le borse sono finite nella trappola del debito incomprimibile e dal costo insostenibile. Stanno scontando quel che non pensavano di dover scontare: non è un bel vedere.

Veniamo ai fatti: i redditi da lavoro erogati per produrre merci sono risultati insufficienti per acquistare ciò che era stato prodotto; questa la crisi. Due le opzioni per andare oltre.

La prima, scelta da pochi, è quella del mercato efficiente: la deflazione, ovvero la riduzione dei prezzi per aumentare il potere d’acquisto del reddito.

La seconda, scelta invece dalle borse, è quella del mercato sotto tutela: la reflazione. Tutto a debito, quello fatto dai consumatori, ficcato dentro l’economia ha tentato di surrogare quell’insufficienza fino a far saltare i conti.

Per uscire dall’impasse, si è gettato dentro nuovo debito, quello pubblico, fragilissimo.

Le politiche keynesiane, quelle degli sgravi fiscali, ancor quelle di sostegno alla crescita hanno prosciugato le casse statali, ma la recessione economica non recede. Recede però la capacità dell’impegno pubblico di dare sprone all’economia: deficit e debiti hanno il fiato grosso.

Si paventano default che sollecitino tagli di spesa.

Il welfare traballa: tagli ai costi delle casse di previdenza, ai costi della spesa sanitaria, a quelli dei servizi sociali; meno lavori pubblici, riduzione di stipendio ai pubblici dipendenti.

D’acchito: pensioni e stipendi contratti, pezzi di sanità a pagamento, servizi assistenziali privati del sostegno pubblico.

Ergo, aumenta la spesa privata, ancor meno reddito a disposizione: nuovo debito privato, minore capacità di sostenere la domanda; riduzione della capacità contributiva e, mi sia consentita la ripetizione, debito pubblico incomprimibile, dal costo insostenibile.

Et voilà, le borse si svegliano dal torpore e vanno giù.


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