Boehmian rapsody: come è nato il documentario "Il ritorno di Zeman" di Giuseppe Sansonna
par Giovanni Chianelli
sabato 5 novembre 2011
Nacque quasi per scherzo, l'avventura di Giuseppe Sansonna nella figura e nel mito di Zeman. Quella che ora è confluita nell'apprezzato cofanetto della Minimum Fax “Il ritorno di Zeman” (due documentari e un volume, pp.103, euro 18,90) è una storia che, come sempre nei casi di trovate geniali, è sorta da una battuta. Conosco la vicenda perché di Peppe sono amico e privilegiato collaboratore di quel primo film, “Zemanlandia”.
Alla fine del 2007 Peppe era stato invitato a Foggia per l'uscita del suo bellissimo “A perdifiato”, documentario sulla vita di Michele Lacerenza, leggendario trombettista di Sergio Leone. Peppe, barese di stanza a Roma, io napoletano: ogni spostamento sul territorio nazionale nelle rispettive latitudini era un'occasione per incontrarci. E ragionare di progetti, magari; ma soprattutto per ridere, commentando le storie di cinema e di cronaca. Perché il regista de “Il ritorno di Zeman” è soprattutto una delle persone più autenticamente divertenti che si possano conoscere. Mentre partivamo, al telefono mi propone: “Stiamo andando a Foggia? Ma perché non ci inventiamo un documentario su Zeman?”. La buttò lì, quasi come una boutade. Io la trovai da subito un'idea meravigliosa, e che fosse incredibile che stesse venendo a noi. Insomma, ci incitiamo come fanno i ragazzi con i sogni. Che valgono più perchéli puoi immaginare, e poi chissà se li realizzi.
A me, allora collaboratore di Repubblica Napoli, tocca la parte mediatica: devo selezionare dagli archivi del giornale tutti gli articoli che riguardavano il tecnico. Mentre Peppe prende contatti, trova una produzione, imbastisce il primo trattamento del film, il cui titolo è frequente oggetto di divertito dibattimento. Gettonatissimo “La coscienza di Zeman”, o “Bohemian rapsody”, alla fine la spunta il più comunicativo “Zemanlandia”. Di qui al primo incontro con il nostro idolo, avvenuto in aprile a Roma, passano quattro mesi tra scartoffie, spezzoni di video della Gialappa's band dove Albanese celebrava il Foggia dei miracoli, citazioni da Brera che stigmatizzava la teoria del boemo perchè viziata “di efferato sadismo ginnasiarca”. Stavamo compiendo un tuffo nel nostro passato, e in quello di molti amanti del calcio, che si faceva più affascinante del previsto. Con l'andar del tempo, ci rendevamo conto di stare mettendo le mani su un'epica, più che su una cronaca sportiva.
Basta, nella primavera 2008 abbiamo appuntamento con Lui nella capitale, Hotel Fleming sull'omonima collina, da sempre quartiere generale dell'uomo venuto da Praga. Per non fare tardi, direbbe Max pezzali, “canniamo da Dio” e ci presentiamo un'ora prima. Ci aggiriamo inquieti tra i banconi di un mercatino, osserviamo turbati i meandri di una città che diventa sempre più dormitorio mentre congetturiamo sulla sua epifania. Perché uno queste sequenze se le immagina mitiche, celestiali, cinematografiche. Te le sceneggi in testa con: molto vento, luce del giorno che muore sullo sfondo, persone che scompaiono all’orizzonte (salvo qualche bimbo che magari ti indica con un dito), violini e fiori che cadono. Una sorta di paradiso all’Lsd, praticamente. E invece, si concretizzano sempre in maniera esteticamente deludente.
Infatti lui appare indossando calzoni informali, giacca della tuta, aria – chiaramente – impassibile. Zemaniana, diciamo. Con l'obbligo di un bar all'aperto per assecondare il vizio del fumo (ma noi gli stiamo dietro, anche per non sfigurare), ci racconta storie del suo passato, i suoi gusti, i suoi pensieri. Per lui è roba ordinaria, per noi oro. Mentre pronuncia frasi storiche con l'aplomb di chi ordina una latte macchiato noi sgraniamo gli occhi e ci guardiamo, estasiati, continuamente. Deve averci preso per dei pivelli nella migliore delle ipotesi, per fanatici senz'altro. Poi ci concede l'onore di offrirgli un passaggio. Insomma ad un certo punto mi trovo, nella mia scassatissima Yaris, con Zdeneck Zeman seduto sul sedile del passeggero. Mentre mi scambio occhiate di “memorabilia”, con gran inarcamento di mascelle, col mio regista preferito nello specchietto. Non ho fatto salire persone su quel sedile per un bel po', stavo per costruire un altarino con l'epigrafe: “Qui si è seduto Zdenek Zeman, e ha fumato sei Marlboro in trenta minuti”.
Un mese dopo siamo in una bella casa dei Parioli, ad officiare il gran reincontro tra Zeman e il suo antico presidente, Pasquale Casillo da San Giuseppe Vesuviano. Da partenopeo instauro subito col patron un certo feeling, a base di “conosci questa persona?”, in omaggio alla più diffusa attività prodotta all'ombra del Vesuvio: la cosiddetta “uscita a parenti”. Peppe prepara l'atmosfera, quanto mai delicata. I due non si vedono da quattro anni, dai tempi della loro seconda avventura ad Avellino. Col tempo un po' ci siamo sentiti responsabili del ritorno di Zeman sulla panchina del Foggia e di quello al calcio di Casillo. No, anzi, voglio proprio metterlo per iscritto: è stato merito nostro. Ok, questa Teano pariolina si rivela al di sopra delle nostre aspettative. I ghiacci reciproci si sciolgono e i due si immergono in un tuffo nel passato per niente studiato, da confronto vero, proprio perché cullato dal pudore. Noi filmiamo e godiamo, pensando che le cose si stanno mettendo bene. La sera torno in auto da Roma a Napoli con don Pasquale, che mi fa più rivelazioni politiche di Julian Assange: se fossi stato un amante della dietrologia avrei scritto un best seller, da quella chiacchierata. Solo una cosa, riporto. Alla mia infantile domanda se Casillo fosse, all'epoca, più ricco di Berlusconi lui mi disse: “Vicino a me era un pezzente. Anzi, qualche volta mi ha chiesto denaro in prestito”. Che giornata.
Poi arriva, dopo la dolce poesia, l'amara prosa: difficoltà di produzione, rallentamento delle ricerche, irreperibilità di contatti. Progressivamente resto defilato da quell'avventura, anche perché il quotidiano per cui lavoravo mi concedeva poche distrazioni. Peppe continua, con gran coraggio, e alla fine riesce a confezionare un capolavoro. In una trionfale conferenza stampa romana, è fine settembre 2009, presenta il documentario insieme al nostro Vate, tra titoli di giornali, passaggi televisivi, applausi scroscianti. Ironia della sorte, quel giorno sono a Roma ma non posso muovermi, preso com'ero da un corso da inviato di guerra organizzato dalla FNSI. Poi Peppe ha sviluppato la vicenda da par suo, ha seguito il Foggia di Zeman 2.0 per conto del Manifesto, e ha realizzato il secondo documentario. Addirittura un libro, straordinario, scritto alla maniera dei vecchi cronisti di calcio.
Eppure per me è rimasta una questione familiare, questa di Peppe, Zeman e Pasquale Casillo. Sulla quale torniamo durante i nostri incontri, trovandoci a tifare prima Foggia e ora Pescara, o ad imitare le voci di quei due personaggi da commedia. Ora che Peppe ha realizzato la sua visione ed io, che ne sono stato testimone, posso gustarmi il suo sogno come fosse un po' mio. Si chiama amicizia.