Blues: lo zingaro ha due falangi in meno, ma la sua chitarra non ne risente

par Riciard
giovedì 20 novembre 2008

Django Reinhardt.
Pura poesia, solo poesia, e non solo la musica, ma la sua vita stessa. Uno zingaro, uno di quelli a cui oggi, magari, prenderebbero le impronte (che sarebbero 8 visto che gli mancavano due falangi), o al quale brucerebbero la roulotte.
La carovana dei suoi genitori si fermò a Parigi, e fu lì che visse buona parte della sua vita.

Django suonava il banjo, inizialmente almeno, poi un incendio gli causò la perdita di due falangi della mano sinistra, e fu così che iniziò a suonare la chitarra, come rimpiazzo, inventandosi una nuova tecnica, che a tutt’oggi strabilia. Fatto sta che Reinhardt inventò una chitarra che non c’era, una musica folle, che mai era stata ascoltata, senza alcun metro di paragone, sopra i paragoni e sopra le case, sopra i tetti, celestiale divina ed indefinibile.
A tutt’oggi la sua musica rimane tale, e se fare arte è davvero rubare del fuoco, beh, in molti hanno spesso attinto a quel braciere.



Quel suo stile di jazz viene detto Manouche, ovvero gitano, jazz dei Rom, come preferite, caratterizzato dalla capacità di ascoltare e riprodurre, suonare in coro, senza spartito.

Già, perchè non va dimenticato, Django non sapeva leggere gli spartiti, non aveva idea di cosa fosse una scala ed era completamente analfabeta. Beh, ci vuole forse una laurea per avere un talento naturale?!

Suonava spesso affiancato con Stephane Grappelli, che, si racconta, talvolta lo andava a trovare in un qualche bar a giocare a biliardo palesemente ubriaco ed in ritardo di due ore sul concerto. Si dice che abbia fatto così anche in occasione di una visita del presidente degli Usa, e che sia vero o meno, anche Django è leggenda.

Sono proprio loro due in questo Minor Swing, che dichiaro da oggi Patrimonio dell’Umanità, o quantomeno dei lettori di Riciard’s e AgoraVox, in onore ad una musica che per scivolare scivola, e che per volare, passa proprio sopra i tetti, le case...


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