Bersani, i suoi otto punti, e i super-arditi della politica

par Daniel di Schuler
venerdì 8 marzo 2013

Un libro che dovrebbe piacere all’onorevole Lombardi, capogruppo del M5S alla camera, è “Le rose del ventennio”, piccola perla scritta da Gian Carlo Fusco negli anni cinquanta e recentemente ripubblicata da Sellerio. Il regime fascista vi è ritratto nei suoi aspetti più folclorici, quando non francamente ridicoli. Tra le vicende narrate in quelle pagine, spicca quella dei super-arditi, piccolo e sceltissimo reparto fondato da un intraprendente ufficiale. I suoi componenti, tutti rigorosamente volontari, erano votati alla morte; pronti in qualunque momento a partire in missioni da cui era impossibile far ritorno. Che fecero durante la guerra? Quali furono le loro gloriose gesta? Se ne restarono in caserma fino all’otto settembre, godendo di un trattamento di tutto favore (poveretti; gli restava tanto poco da vivere) e poi, come tanti altri reparti, sparirono. Una missione abbastanza pericolosa per loro, in cui la morte fosse davvero cosa certa, pare che nessuno sia mai riuscito a progettarla.

I grillini sembra vogliano essere i super-arditi della nostra politica. Tanto desiderosi di cambiare tutto subito da non accettare un qualunque progetto che, magari per il semplice fatto d’esser realistico, non coincida con le loro meravigliose idee. Votati alla rivoluzione? Forse. Di sicuro senza nessuna voglia di governare una difficile trasformazione e con tutte le intenzioni di restarsene assai comodamente all’opposizione (da lì, si sa, si può promettere a tutti e scontentare nessuno).

Detto questo, pare evidente che gli otto punti programmatici illustrati da Bersani, nel corso della relazione tenuta alla direzione del suo partito, per quanto largamente condivisibili, e non solo da sinistra, non riusciranno a stanare i parlamentari del M5S dalle loro trincee. 

Viene da chiedersi, piuttosto perché Bersani parli in modo così chiaro e sintetico solo ora. Perché abbia, con il proprio partito, imbastito la solita tafazziana campagna elettorale di una sinistra perennemente impegnata nella ridefinizione della propria identità, anziché limitarsi a dire, prima di con che spirito e in compagnia di chi, cosa avrebbe voluto fare se avesse governato. E per farlo gli sarebbe bastato ripetere, ad ogni occasione, proprio quegli otto punti.

Saranno sembrati, agli strateghi del piddì, troppo generici? Molto meno dell’aria fritta di tante dichiarazioni di principio. Difficilmente realizzabili? Certo reperire i fondi per garantire un salario minimo a chi è senza contratto e, nello stesso tempo, ridurre il costo del lavoro per gli assunti a tempo indeterminato, non pare cosa semplice, ma altri, in campagna elettorale, hanno fatto promesse assai meno realistiche di queste. Sconfessavano apertamente le scelte del governo Monti? L’esatto contrario; è proprio la serietà dimostrata in quest’anno dal governo che il PD ha lealmente sostenuto a rendere possibile al prossimo presidente del Consiglio di rendersi, come promesso da Bersani, protagonista della “correzione delle politiche europee di austerità”.

Impossibile, poi, comprendere per quale maledetta ragione il PD abbia taciuto della propria ferma volontà di tagliare i costi della politica (salvo che tanto ferma non fosse, considerando quanti suoi funzionari vivano di politica anche a livello locale). Al punto tre del programma bersaniano, ad ogni modo, tra le altre cose si legge di una “revisione degli emolumenti di Parlamentari e Consiglieri Regionali con riferimento al trattamento economico dei Sindaci” di “norme per il disboscamento di società pubbliche e miste pubblico-private” e di una “riduzione costi della burocrazia con revisione dei compensi per doppie funzioni e incarichi professionali”.

Non abbastanza da scalfire la fede degli elettori berlusconiani; sufficiente, con ogni probabilità, a sottrarre al M5S qualche cruciale punto percentuale di conversi. Di che vincere davvero delle elezioni che la sinistra italiana sembrava non potesse perdere.

A questo proposito c’è da salutare Vendola, che dopo aver contribuito così brillantemente al risultato della propria coalizione, ha espresso l’intenzione di tornarsene a governare la Puglia. Immaginabile l’entusiasmo dei cittadini di quella regione, che peraltro non si è inabissata neppure in assenza del suo massimo dirigente, nel vedersi trattati come un ripiego.

Chissà, invece, che penseranno i fiorentini, del loro sindaco sempre impegnato nel far altro. Per quanto putto Renzi svolazzi di qua e di là, ad ogni modo, c’è da scommettere che anche la cupola di Santa Maria del Fiore continuerà a svettare. Era persona seria, quel Brunelleschi, e il suo lavoro lo sapeva fare. Soprattutto, lo faceva.


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