Berlusconi e Napolitano, un ab-braccio d’onore alla democrazia

par Resist Enza
lunedì 8 marzo 2010

Il «gesto dell’ombrello», detto anche «far manichetta», è praticato solo da noi e dai francesi, che lo chiamano pomposamente Bras d’honneur (braccio d’onore). Pare, dico pare, che l’equivalente nella cultura anglosassone sia l’alzare il dito medio (in inglese The finger, ma anche Bird, Highway salute, Concert C e Flipping/flicking someone off), insulto gestuale che sta diventando di moda, trendy, fra la nostra gagliarda società civile e politica e non c’è da stupirsene: abbiamo adottato quella frescaccia di Halloween, figuriamoci se ci facevamo scappare, dopo il «Dammi un cinque», quella roba lì. In quanto all’origine di entrambi i gestacci, si brancola, o quasi, nel buio. Nel suo "Gesti, la loro origine e distribuzione" l’etologo Desmond Morris avanza l’ipotesi che «il dito», chiamiamolo così, tragga dal digitus infamis o digitus impudicus dell’antica Roma (rimandi nelle opere di Marziale e di Svetonio), ma questo smentirebbe la stretta parentela fra «il dito» e il «gesto dell’ombrello». Che viene confermata invece da un’altra ipotesi, quella che gode di maggior credito fra gli studiosi della gestualità. Guerra dei Cent’anni: 25 ottobre 1415, battaglia di Azincourt. Come è noto, in quell’occasione gli inglesi si presentarono sul campo di battaglia armati dell’inedito longbow, l’arco lungo. Aggeggio del quale i francesi non avevano ancora (e dolorosamente) sperimentato la micidiale potenza: ritenendolo un arco punto e basta, sicuri di avere la meglio sul nemico, gli mostrarono il medio (e di qui «the finger»), mentre con l’altra mano facevano cenno di tagliarlo. In sostanza, irridevano gli inglesi promettendo loro, una volta fatti prigionieri dopo l’immancabile vittoria, di mozzargli il dito così da impedirgli, nel futuro, di tirar con l’arco. Qualche francese, più sbruffone del consueto, andò oltre esprimendo a gesti agli arcieri di Enrico V l’intenzione di recidere loro addirittura il braccio. E da qui il «gesto dell’ombrello» (Inutile ricordare che, la battaglia di Azincourt, per i francesi di Carlo VI, fu la débâcle: lasciarono sul campo oltre 10mila uomini contro i 500 caduti tra le file inglesi. Diavolo d’un longbow. Però bisogna aggiungere che quell’ottobre 1415 la Pulzella d’orleans, Giovanna d’Arco, compiva tre anni. A tredici cominciò a sentire «le voci» e a diciassette, oplà, espugnò Orleans lavando così l’onta di Azincourt).
fonte
 

La tirannia di un principe in un’oligarchia non è pericolosa per il bene pubblico quanto l’apatia del cittadino in una democrazia. (Montesquieu)

Tutte le persone timorose minacciano con facilità: sentono che le minacce avrebbero un grande effetto su di loro. (Montesquieu)

La ragione per cui la maggior parte dei governi della terra sono dispotici è che un simile governo salta agli occhi ed è ovunque uniforme. Dal momento che, per instaurarlo, bastano delle passioni violente, tutti ne sono capaci. Per istituire un governo moderato, invece, occorre combinare i poteri, temperarli, farli agire e regolarli; rafforzarne uno per consentirgli di resistere ad un altro; insomma, occorre realizzare un sistema. (Montesquieu)

Quasi tutte le virtù sono un particolare rapporto fra un determinato uomo ed un altro; per esempio: l’amicizia, l’amor di patria, la pietà sono rapporti particolari. Ma la giustizia è un rapporto generale. Di conseguenza, tutte le virtù che distruggono tale rapporto generale non sono virtù. (Montesquieu)

Una cosa è giusta non perché è legge, ma deve esser legge perché è giusta. (Montesquieu)

Un popolo libero non è quello che ha questa o quella forma di governo: è bensì quello che gode della forma di governo stabilita dalla legge. (Montesquieu)

Non è sensato pretendere che l’autorità del principe sia sacra e che, viceversa, non lo sia quella della legge. (Montesquieu)

 

Coloro che vivono in una monarchia o in un’aristocrazia saggia e moderata paiono stare in grandi reti, ove sono stati catturati ma si considerano liberi. Quelli che invece vivono in Stati meramente dispotici stanno in reti così strette che subito avvertono d’esser stati catturati. (Montesquieu)

Sindrome della rana bollita

Se si immerge una rana in una pentola di acqua bollente, ovviamente cercherà freneticamente di arrampicarsi fuori. Ma se la si posa delicatamente nella pentola di acqua tiepida e si aumenta gradualmente il calore, essa galleggerà lì in tutta quietudine. Come l’acqua si riscalda poco a poco, la rana sprofonderà in uno stato di tranquillo torpore, esattamente come uno di noi in un bagno caldo, e in poco tempo, con un sorriso sul volto, senza opporre resistenza, si lascierà bollire a morte.

"Questa vicenda è il degno risultato di un atteggiamento sbagliato che per anni è stato tollerato. Abbiamo perso il significato della legge. Vorrei dire: della Legge con la maiuscola. Le leggi sono state piegate a interessi partigiani perché chi dispone della forza dei numeri ritiene di poter piegare a fini propri, anche privati, il più pubblico di tutti gli atti: la legge, appunto. Si è troppo tollerato e la somma degli abusi ha quasi creato una mentalità: che la legge possa rendere lecito ciò che più ci piace". (Gustavo Zagrebelsky)

 

Il potere corrompe, il potere assoluto corrompe assolutamente. (Montesquieu)

Si nasconde, chiuso nel fortilizio di Palazzo Grazioli, arrogante, sempre più violento nel linguaggio, rilascia solo dichiarazioni, evita ogni confronto, ogni contatto con il pubblico. Neppure con i suoi. Invia messaggi in video o usa il telefono. Punta a creare un clima di scontro, lo cerca, in un clima che si fa sempre più torbido. Gli ultimi assalti alle forze di opposizione sono riassunti da queste parole del premier: “La sinistra che ormai si è ammanettata a Di Pietro, vuole fare dell’Italia uno stato di polizia dominato dall’oppressione tributaria e giudiziaria”.

Violenza politica come quella praticata nei confronti di Napolitano negli incontri che si sono avuti nei due giorni precedenti la firma del decreto da parte del Capo dello Stato. Piano piano si rompono i veli sui confronti avvenuti al Quirinale, “tesi” coma ha riferito lo stesso Napolitano. E’ stato il Messaggero a riportare frasi minacciose pronunciate dal premier. “Ti scateno la piazza”, “la tua firma non è indispensabile. Vado avanti da solo”. Dazebao ha rilanciato. Ora Scalfari scrive su Repubblica che Berlusconi “ha preteso” il decreto e che Gianni Letta sarebbe stato il “missus dominicus” di un “vero e proprio ultimatum”, la minaccia cioè “di sollevare dinanzi alla Corte Costituzionale un conflitto di attribuzioni tra il governo e il Capo dello Stato”. [continua a leggere]

(Alessandro Cardulli - Dazebao, 07/03/2010)

 

Tutte le persone timorose minacciano con facilità: sentono che le minacce avrebbero un grande effetto su di loro. (Montesquieu)

E bene, stabilire la prevalenza della sostanza sulla forma in materia di procedura non ha altra conseguenza che legittimare l’illegalità permanente nella vita pubblica, o meglio: far coincidere la legalità con il volere del capo dell’esecutivo, cioè stabilire la legittimità dell’assolutismo.



Un decreto interpretativo con potere retroattivo realizza questo gravissimo precedente. Non a caso Berlusconi lo ha preteso facendo balenare ripetutamente la minaccia di sollevare dinanzi alla Corte costituzionale un conflitto di attribuzioni tra il governo e il Capo dello Stato. Gianni Letta è stato il "missus dominicus" di questo vero e proprio ultimatum e -a quanto si sa- l’ha fatto valere con inusitata decisione. Questi gentiluomini del Papa ci stanno dando molte sorprese da qualche giorno in qua sui più vari terreni. Un Letta in armatura e lanciato a passo di carica non l’avevamo ancora visto anche se da tempo sotto il suo guanto appariva sempre più spesso l’artiglio di ferro. [contina a leggere]

(Eugenio Scalfari - La Repubblica, 07/03/2010)

 

Un popolo libero non è quello che ha questa o quella forma di governo: è bensì quello che gode della forma di governo stabilita dalla legge. (Montesquieu)

Professore, che succede? "Apparentemente, un conflitto tra forma e sostanza".

Apparentemente? "Se guardiamo più a fondo, è un abuso, una corruzione della forza della legge per violare insieme uguaglianza e imparzialità".

E l’imparzialità? "Il "principale contendente" è il beneficiario del decreto ch’esso stesso si è fatto. Le pare imparzialità? Forse, penseremmo diversamente se il beneficiario fosse una forza d’opposizione. Ma la politica non è il terreno dell’altruismo. Ci accontenteremmo allora dell’imparzialità".

Si poteva fare? "La legge 400 dell’88 regola la decretazione d’urgenza. L’articolo 15, al comma 2, fa divieto di usare il decreto "in materia elettorale". C’è stata innanzitutto la violazione di questa norma, dettata non per capriccio, ma per ragioni sostanziali: la materia elettorale è delicatissima, è la più refrattaria agli interventi d’urgenza e, soprattutto, non è materia del governo in carica, cioè del primo potenziale interessato a modificarla a suo vantaggio. Mi pare ovvio".

Quindi, nel merito, il decreto viola la Costituzione? "Se fosse stato adottato indipendentemente dalla tornata elettorale e non dal governo, le valutazioni sarebbero del tutto diverse. Dire che il termine utile è quello non della "presentazione" delle liste, ma quello della "presenza dei presentatori" nei locali a ciò adibiti, può essere addirittura ragionevole. Non è questo il punto. È che la modifica non è fatta nell’interesse di tutti, ma nell’interesse di alcuni, ben noti, e, per di più, a partita in corso. È un intervento fintamente generale, è una "norma fotografia"".

Siamo di fronte a una semplice norma interpretativa? "Quando si sostituisce la presentazione delle liste con la presenza dei presentatori non possiamo parlare di interpretazione. È un’innovazione bella e buona".

(da intervista a Gustavo Zagrebelsky di Liana Milella- La Repubblica, 07/03/2010)
 

Quasi tutte le virtù sono un particolare rapporto fra un determinato uomo ed un altro; per esempio: l’amicizia, l’amor di patria, la pietà sono rapporti particolari. Ma la giustizia è un rapporto generale. Di conseguenza, tutte le virtù che distruggono tale rapporto generale non sono virtù. (Montesquieu)

I ragazzi e le ragazze del «popolo viola» che occupano la piazza del Quirinale; il Pd che annuncia ostruzionismo nelle aule del Parlamento; Antonio Di Pietro che pensa all’impeachment del Capo dello Stato; il Popolo della libertà che incassa il risultato e maramaldeggia nei confronti dell’opposizione. E Gianfranco Fini che prova a gettare acqua sul fuoco ma non riesce a trovare argomenti più convincenti di un dimesso «quel decreto è il male minore». E’ vero che era ingenuo nutrire dubbi in proposito: ma ora si può onestamente dire che ha avuto senz’altro ragione chi aveva previsto che il «pasticcio delle liste» sarebbe finito assai peggio di com’era cominciato. E infatti è finito com’è sotto gli occhi di tutti: un altro mucchietto di macerie sull’ipocritamente invocato «dialogo» e nuove cicatrici su questa o quella istituzione.

[..] la lunga nota con la quale il Presidente ha voluto spiegare il senso delle sue decisioni a due cittadini che gli avevano scritto, è a suo modo drammatica e segna una svolta. Il Capo dello Stato argomenta, polemizza, accusa e si difende in un inedito crescendo che mescola preoccupazione e rabbia. Napolitano domanda: si poteva andare al voto in Lombardia e a Roma senza le liste del maggior partito? Insiste: si era parlato di una soluzione condivisa, ma nessuno l’ha indicata. Argomenta: erano in gioco due interessi entrambi meritevoli di tutela, il rispetto delle procedure e il diritto dei cittadini di scegliere tra schieramenti diversi. E infine, una conclusione a metà tra un’accusa e una supplica: «Un effettivo senso di responsabilità dovrebbe consigliare a tutti i soggetti politici e istituzionali di non rivolgersi al Capo dello Stato con aspettative e pretese improprie, e a chi governa di rispettarne funzioni e poteri». Un inedito, nei toni e nella sostanza. Ma un inedito che è frutto di uno stillicidio che viene da lontano e che ha coinvolto ora i giornali, ora la Corte Costituzionale, ora il Quirinale: cioè organi o strumenti «terzi», garanti di imparzialità e invece finiti nel tritacarne di una polemica politica fattasi selvaggia, all’ombra di un bipolarismo assai malinteso. Uno stillicidio che ha portato qualche mese fa il presidente del Consiglio a dire «tanto si sa il Presidente da che parte sta» (cioè con i «comunisti») e Antonio Di Pietro, appena ieri, a chiederne l’impeachment: una follia politica e costituzionale, quest’ultima, proposta da chi le leggi e la Costituzione dovrebbe invece conoscerle a memoria. [continua a leggere]

(Federico Geremicca - La Stampa, 07/03/2010)

 

Non è sensato pretendere che l’autorità del principe sia sacra e che, viceversa, non lo sia quella della legge. (Montesquieu)


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