Berlusconi, Sarkozy, Merkel: come non sono fatti gli statisti

par Daniel di Schuler
sabato 29 ottobre 2011

Un politico dovrebbe guardare avanti di decenni; chi aspira ad essere considerato una statista dovrebbe pensare al destino del proprio paese nei secoli futuri.

Nell’ Europa dell’Euro, per nostra somma disgrazia, oggi non v’è traccia né di politici, nel vero senso del termine, né di statisti; se Berlusconi è pessimo, Sarkozy è poco meglio, Zapatero è stato (ormai ha preparato la valigia e si appresta a lasciare la Moncloa) un degno figlio della stessa epoca politica, fatta d’immagine e poco altro, e Merkel, la meno peggio del gruppo, appare un garzone pasticcione dalle idee spesso confuse, se paragonata a Willy Brandt, Helmut Schmidt o anche solo ad Helmut Kohl.

Omuncoli politici, quelli che abbiamo messo alla testa dei nostri paesi, che proprio quando operano sullo scenario continentale rivelano tutta la loro minuscola statura: l’Unione Europea, a sentir loro, pare quasi una semplice associazione di mutuo soccorso tra stati; un’entità temporanea, da tenere in piedi solo finché si dimostri conveniente in un’ottica che guarda al presente e al massimo all’immediato futuro.

Dimenticano che l’Europa ha avviato un processo d’unione politica, di cui ha appena compiuto i primi passi, per rispondere alle sfide della storia; che l’UE deve la sua esistenza, prima d’ogni altra cosa, al desiderio di pace di uomini che avevano assistito alle peggiori tra le guerre. Schuman (ministro degli esteri francese), de Gasperi ed i loro pari, quando costituirono la CECA, progenitrice delle istituzioni comunitarie, non avevano in mente solo il carbone e l’acciaio; avevano compreso che l’Europa, dopo che si era auto-distrutta per due volte in un trentennio, non poteva ricostruirsi secondo l’antico modello degli stati nazionali in perenne competizione tra loro.

I padri dell’Unione avevano compreso, inoltre, che quel che restava dell’Europa, in un mondo dominato dalle superpotenze, avrebbe potuto difendere i propri interessi vitali solo riunendosi; che i singoli paesi europei erano già allora troppo piccoli per contare, separatamente, qualcosa.

Ragioni che permangono intatte, quelle dei fondatori dell’Europa.

I singoli stati europei sono dei bruscolini in confronto alle grandi potenze del mondo d’oggi; non solo rispetto agli Stati Uniti , alla Russia e alla Cina, ma anche se paragonati all’India o allo stesso Brasile. Il loro benessere futuro, se agiranno separatamente, sarà garantito solo dal benvolere interessato degli Stati Uniti o di un qualche altro santo protettore. Una benevolenza che avrebbe comunque dei precisi limiti, come sappiamo già, nel caso americano, perlomeno dall’elaborazione della dottrina della “risposta flessibile” durante la guerra fredda; sarebbe quella di potenze amiche, sì, ma non al punto da rischiare la propria sopravvivenza per aiutarci, se non ne va della loro.

Discorsi che paiono vaghi, questi, se paragonati alla stringente praticità delle discussioni sulla crisi del debito o sulla regolamentazione della produzione lattiera, ma che tali ci sembrano solo perché sessanta e più anni di pace ci hanno fatto dimenticare la realtà della guerra.

Discorsi comunque utilitaristici cui andrebbero aggiunti quelli sulla fondamentale unità del continente; sul suo essere popolato da genti che condividono larghi tratti della stessa storia ed hanno la stessa cultura. Un’unità che solo chi ha una visione tribale della politica e delle relazioni tra gruppi umani può disconoscere; contro cui possono argomentare solo i leghisti d’ogni paese ed i molti nemici, europei e no, dell’Europa.

Nemici come i nostri compatrioti che starnazzano alla sovranità violata quando le istituzioni europee chiedono al nostro governo delle garanzie sui nostri conti pubblici. Italiani senza memoria che dimenticano le tragedie della nostra storia; quelle che hanno ispirato ai Padri della Repubblica l’ articolo 11 della Costituzione: 

“L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

Se una lezione dobbiamo trarre dalla crisi è che ci vorrebbe ancora più unita; che il vuoto istituzionale che ha consentito al duo Sarkozy-Merkel di ergersi a capi dell’Unione, senza essere stati eletti dagli europei, ma solo da francesi e tedeschi, va colmato.

Che gli europei dovrebbero eleggere un proprio governo; che comune, prima della moneta, avrebbe dovuto e deve, a maggior ragione, essere la politica economica.

Si tratta di trovare un coraggio che non può avere chi ha lasciato che un problema “minore” come quello del debito greco minacciasse di portare il continente allo sfascio: il coraggio per creare il nocciolo di una Confederazione Europea

Il coraggio e preveggenza che non sono di Berlusconi, ma neppure di Merkel o Sarkozy: quelli, appunto, degli statisti.


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