Benedetta primavera: confronto tra la rivoluzione araba e quella italiana. Una proposta di dibattito

par Giovanni Chianelli
mercoledì 15 giugno 2011

Potrebbe sembrare banale, ma forse è utile. L’idea sta serpeggiando in rete ma ancora non vedo paralleli strutturati. Lungi dal permettermi di articolarlo io, propongo di far partire il dibattito: quello sul parallelo tra le rivoluzioni nel Mediterraneo e quanto accade in questi giorni in Italia. Un paragone tra la primavera araba e quella italiana, insomma. Affinità e divergenze, ma anche legittimità del dibattito. Le due situazioni sono accostabili?

Andiamo per spunti. Innanzitutto, la rete. Il web. Fattore decisivo per le rivoluzioni arabe, per informazione e contatti. Tra chi santificava Facebook e i vari “social”, o che ricorreva a giornali clandestini online per attingere nozioni sull’andamento della rivolta utili a chi combatteva o protestava. In Italia, sulla rete da almeno un anno e mezzo si discute dei referendum sull’acqua e nucleare, sulla rete ci si è formati un’opinione o si è saputo di cosa si parlava, più semplicemente. E dalla rete sono nati i comitati sostenitori di Pisapia e De Magistris, con un florilegio di modelli di comunicazione innovativi che hanno coinvolto categorie come la creatività, l’ironia, la mobilitazione virale. Nella clamorosa assenza dell’informazione istituzionale che, salvo benefiche eccezioni, oscurava, sminuiva e addirittura manipolava le notizie sulla data dei quesiti.

Poi, l’età dei protagonisti. Sulle coste del mediterraneo, prevalentemente giovani, specie i leader. In Italia, l’età è stata decisiva: secondo i dati disaggregati, il 70% degli affluenti al referendum non arrivava ai 45 anni, e i sostenitori dei due sindaci erano per lo più trentenni.

Come sfumatura, aggiungerei il ruolo di intellettuali ed artisti che, e mi riferisco soprattutto all’Italia, per una volta non sono stati a guardare: da noi è stata anche la primavera di comici, vignettisti e creativi. Mentre "oltremare" qualcuno ha pagato a caro prezzo la loro voce libera, vedi la tragedia del caricaturista libico Qais el Hileli.

Ancora, il rifiuto delle vecchie forme di politica. Che nel caso dei paesi del Maghreb, così come in Yemen e in Siria accade in queste ore, prendevano le vesti del rivolgimento contro dittatori e capi tribali; qui, invece, quelle meno sanguinose ma non per questo meno incisive dello smottamento dei partiti tradizionali che hanno fatto posto ad innovativi modi di partecipazione, troppo presto battezzati “antipolitica”, mentre sono più appropriatamente riconducibili alla società civile (più o meno libera). Sembrerebbe, questo, l’aspetto meno originale: in fondo, si obietterà, tutte le rivoluzioni vanno a contestare il vecchio potere, per poi sostituirlo. Ho la sensazione, invece, che stia avvenendo qualcosa in più. Perchè sia nel mondo arabo che in Italia si va a processare la stessa forma della cittadinanza attiva: con un allargamento delle basi decisionali.

Un aspetto ancora in comune è la rapidità del rovesciamento. Presuppone certo una lunga preparazione, come il mezzo secolo di dittature arabe o il nostro di partitocrazia, culminata con la fase autocratica berlusconiana, ma quando scoppia è un vento velocissimo. Se alimentato dalla rete, è capace di infiammare subito.

Qualche accenno alle differenze, su cui lascio ad altri adeguato approfondimento: l’esito delle varie rivoluzioni arabe è a vario fine. Lieto, o quasi, nel caso di Tunisia ed Egitto, tragico per Libia, Siria e Yemen. Da noi lo spettro di guerre civili o repressioni cruente non c’è. Questo ha informato anche la tipologia di comunicazione dei due modelli di rivolta: potente e terribilmente seria nei paesi arabi, ironica e dissacrante nel nostro. Perché comunque parliamo di un distacco, fondamentale, tra nazioni governate dalla dittatura ed uno in cui esiste una Costituzione democratica. Ma proprio per questo la sete di libertà è diversa. Il vero scarto sta in un semplice dettaglio: mentre qui si dibatteva, durante il referendum, sul raggiungimento del quorum, con suggerimenti autorevolissimi sul disertare le urne, dall’altra parte del mare oggi succede altro. Là la gente si uccide, pur di andare a votare.


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