Bavaglio, non bavaglio, Bersani, Fini: il vero scandalo in RAI è un altro

par Fabio Chiusi
sabato 13 novembre 2010

È incredibile come ad andare in tv siano sempre le stesse facce e nonostante questo ogni pretesto sia buono per scatenare la guerra in Rai. L’ultima pietra dello scandalo è l’idea di Fabio Fazio e Roberto Saviano di portare a Vieni via con me il presidente della Camera Gianfranco Fini e il leader dell’opposizione Pierluigi Bersani. Ma le parti sono sempre le stesse: in un angolo chi “insorge” e invoca il “pluralismo” violato, nell’altro le “anime belle” che gridano alla “censura”. Ed è “bufera”.

Se il copione è noto, spesso e volentieri anche gli attori sono gli stessi: Minzolini, Masi, Capezzone, Cicchitto più Libero e il Giornale da una parte; Santoro, Travaglio, Di Pietro, Franceschini più Il Fatto Quotidiano e Repubblica dall’altra. La querelle è avvilente, perché da un lato si grida troppo per quella che nelle democrazie mature è la normale libertà degli autori di gestire come meglio preferiscono i propri programmi, e dall’altra si risponde a voce troppo alta e a reti troppo unificate per chi lamenta (o vanta, a seconda dei gusti) un bavaglio dietro l’altro.

Anche il risultato di tanto contendere è poca cosa, rispetto al fiato sprecato. Perché i primi non sono riusciti a imporre l’assurda par condicio delle idee che tanto desiderano, e i secondi non hanno smosso di un millimetro la corazzata Tg1-Porta a Porta che quotidianamente informa “a suo modo” il grosso della popolazione. Che tuttavia avrebbe la possibilità di fare altrimenti. Potrebbe informarsi altrove. Invece, per pigrizia o perché gli sta bene così, non lo fa. Ma l’offerta c’è, e va da chi nel pantheon dei martiri ha Vittorio Feltri a chi lo ritiene un ciarlatano, da chi considera il proprio intellettuale di riferimento Vittorio Sgarbi a chi, al contrario, gli preferisce Roberto Saviano. Impossibile mettere le parti sullo stesso piano? Può darsi, ma non è questo il punto. Il punto è che si può ancora scegliere. Regime o non regime. Berlusconi o non Berlusconi.

Quindi sarebbe il caso di darsi un po’ meno da fare per un Benigni o un Bersani in più o in meno, e magari sfruttare quelle energie per chiedere più pluralismo nelle presenze, più voci nel coro. Perché questo sì, è davvero monotono. Gli interpreti sono sempre gli stessi, lo spartito sempre quello. Se io avessi abbastanza voce in capitolo, invece, punterei i piedi per sentir parlare di poesia, ad esempio. In prima serata, mica a mezzanotte o più tardi. E non affrontando l’autore appena scomparso di turno: così è ipocrita, oltre che facile. Mi incazzerei con Masi perché non permette ai miei coetanei di sentire la voce di Milo De Angelis dopo il telegiornale. Perché se i libri del grande Lorenzo Calogero sono tutti fuori catalogo, non c’è almeno un servizio, tra le centinaia che si chiedono che ne sarà del governo o ci raccontano i dettagli di una corsa di pecore cavalcate da fantini di pezza, che ne ricordi una semplice poesia. Una sola.

Ma gli esempi sono infiniti. Dove sono i nostri fumettisti? Ne abbiamo tantissimi, bravi e sconosciuti. Perché Fazio e Saviano, se vogliono davvero dirci qualcosa che non sappiamo, non chiamano i ragazzi di Delebile, invece di quei due vecchi arnesi della politica di Bersani e Fini? E i musicisti? Davvero in Italia esiste soltanto Daniele Silvestri? O Gaber, citato allo sfinimento? E gli scrittori? E gli artisti? Tutto da ridurre a una passaggio mandato a memoria del Gattopardo?

Il rischio, quello vero, insomma, è che si urli tanto per niente e poi non resti la voce per evitare che la nostra cultura finisca omologata in un calderone di polemiche che si ripete sempre uguale, in un vortice che annoia con gli stessi argomenti recitati sempre dagli stessi soggetti. Invece io sono certo che in Italia ci sia di più e di meglio, e che se davvero si vuole raccontare questo Paese qualcuno nel servizio pubblico dovrebbe fare lo sforzo di ricordarselo, ogni tanto. E dare una voce a chi la merita e, ora come ora, non ce l’ha. Come, è che così non si fanno ascolti? Ecco, appunto.


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