Barocco leghista: la scala mobile al fiscal drag

par Phastidio
venerdì 20 giugno 2025

Come riciclare se stessi, svuotando i cassetti di proprie proposte di legge e modificarle lievemente per attestare la propria esistenza in vita politica. È la tecnica legislativa di Cialtronia, bellezza.

Poiché a intervalli regolari occorre battere un colpo e dimostrare di essere vivi in circostanze diverse dal tifo da stadio per i leader ultranazionalisti del pianeta, la Lega ha deciso di cimentarsi col “gusto del mese”, come direbbero gli americani: l’insufficiente crescita delle retribuzioni. Trattenete lo sbadiglio, vi servirà tra poco.

Sgravi e flat tax a termine, venghino

Pare dunque in arrivo un disegno di legge, la cui funzione non è chiaro se quella di mettere un segnaposto o solo di sfruculiare Meloni e i forzisti, che dovrebbe essere fondato su alcuni punti. A parte l’ideuzza di “incentivare” i contratti collettivi che si rinnovano senza ritardi (come, sussidiando i datori di lavoro?), l’obiettivo resta tutelare e rafforzare il potere d’acquisto dei redditi più bassi. Che sono sempre quelli che si aggirano attorno alla soglia dei 35 mila lordi annui, s’intende. Ebbene, per gli under 30, che in Italia sono veri e propri feti,

I neo assunti con redditi fino a 40 mila euro beneficeranno di una flat tax al 5 per cento per cinque anni, mentre per i datori di lavoro sarà garantito un esonero totale dei contributi previdenziali per tre anni.

E anche questo cassetto, lo abbiamo svuotato. Cosa mai accadrebbe dopo tre anni al datore di lavoro e dopo cinque al lavoratore, lo lasciamo alla vostra fervida fantasia. Come sapete, in questo paese la politica va pazza per i gradoni, a partire da quelli delle aliquote marginali effettive da confisca. Soprattutto, non si inventa nulla: voi di certo non lo ricordate, avendo una vita, ma il programma elettorale per le politiche del 2022 di Azione e +Europa, il famoso “patto repubblicano” durato meno della lattuga che sconfisse Liz Truss, prevedeva qualcosa del genere.

Anche lì, si proponeva “un taglio delle tasse totale per i giovani fino a 25 anni e del 50 per cento per chi è nella fascia di età tra i 26 e i 30”. Vado pazzo per i décalages ben riusciti. Scrissi all’epoca:

Il giorno del suo ventiseiesimo compleanno il nostro giovane amico si intristisce, perché riceve un regalo di dubbio gusto: la tassazione Irpef, sia pure per metà aliquota di quelli che hanno il suo stesso reddito ma non hanno la fortuna di essere così giovani. Sorvoliamo su problemi di equità orizzontale, che peraltro in questo paese sono diventati una sorta di ubbia per puristi.

Ma il peggio arriva al compimento del trentesimo compleanno: l’Irpef raddoppia! Il nostro giovane amico non si metterà a citare la famosa frase di Francesco Totti (speravo de morì prima), ma di certo sarà contrariato. E, a trent’anni, potrebbe valutare di fare la valigia e fare ciao ciao con le mani, con i piedi e con altre parti anatomiche.

Nella versione leghista c’è l’immancabile flat tax, con cui i nostri eroi curerebbero anche la disfunzione erettile. Non dimenticate che, nella iconografia del precursore dell’attuale partito, c’è il bossiano “la Lega ce l’ha duro”, quindi sarebbe tradizione nella innovazione.

Delle coperture non parlo né parlano i proponenti, almeno per ora. Immagino saranno, come al solito, le rottamazioni delle rottamazioni sino alla quinta generazione, o magari qualche condono edilizio o voluntary disclosure, magari sui contanti e sulle cassette di sicurezza, “per aiutare le famiglie italiane in difficoltà”. A chi obiettasse che non si possono coprire spese correnti con condoni, sicuramente qualche prestigioso esponente del dipartimento economico della Lega ribatterebbe che le rottamazioni restano aperte a oltranza, quindi l’entrata diventa ricorrente e non una tantum. Risate da sitcom in sottofondo. Quelle degli evasori.

Ormai la fantasia è terminata da molto tempo. Zombie dallo sguardo vitreo si trascinano da un talk all’altro a miracol mostrare. C’è tuttavia una proposta meno loffia del temuto, e cioè potenziare l’indennità di vacanza contrattuale, quella che scatta per i contratti collettivi scaduti e in attesa di rinnovo. Nello specifico,

[…] un aumento dei salari contrattuali fino al massimo del 2 per cento con un’inflazione del 3 per cento e oltre, e proporzionati quando questa è più bassa.

Che, in modo piuttosto contorto, potrebbe voler dire indennità di vacanza contrattuale pari a due terzi del tasso di inflazione (da capire come determinato, però) sino a un massimo del 2 per cento.

Disinflazionare i contratti integrativi

Ma c’è un altro punto della proposta che è decisamente singolare. Non ci saranno gabbie salariali, almeno non formalmente. Come spiega Claudio Durigon, nelle zone in cui l’inflazione è più alta, ci sarebbe una corrispondentemente maggiore defiscalizzazione del welfare e dei fringe benefit aziendali.

Da dove cominciare? Dal fatto che, per l’ennesima volta, i cosiddetti “aumenti di stipendio” vengono estratti dalla fiscalità generale, ormai una consolidata tradizione italiana oltre che un chiaro segno di una patologia ormai cronicizzata. Ricordate che il camposanto largo voleva sussidiare il salario minimo? Ecco. Poi, si conferma che i leghisti hanno un problema col concetto di “costo della vita”. Che non è la variazione del tasso di inflazione, cioè un flusso, ma un livello: cioè quanto costa la vita, letteralmente. Un paniere di beni contro il quale confrontare le retribuzioni.

Il che ci porterebbe rapidamente a prendere atto e coscienza del fatto che, se il contratto resta quello nazionale, a parità di erogazioni di benefit (ovviamente per i dipendenti delle aziende che li prevedono), si potrà comprare di più o di meno a seconda delle zone del paese ma non certo a causa dell’inflazione di un singolo anno. E si torna al via ma non ditelo ai leghisti, mi raccomando.

La realtà è che i leghisti stanno riciclando se stessi, con questa proposta di legge. Esattamente, quella di un paio di anni addietro, presentata al Senato a prima firma dell’allora capogruppo Massimiliano Romeo, che prevedeva agevolazioni per i contratti collettivi stipulati su base territoriale e aziendale. Per incentivare i quali,

[…] per il triennio 2024-2026, in via sperimentale, i datori di lavoro privati che riconoscono ai propri dipendenti i predetti trattamenti eco­nomici accessori maturano un credito su cui si applica la compensazione ai sensi dell’ar­ticolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, fino ad un massimo di 3.000 euro annui per ciascun dipendente e nel li­mite complessivo di 100 milioni di euro an­nui per il triennio.

Momento Goofy

Finanziati prelevando risorse dal Fondo sociale per occupazione e formazione. Oggi i leghisti ci riprovano, usando l’impostazione di quella proposta di legge ma attenuandone la spinta plateale al decentramento della contrattazione collettiva. Ma è interessante questa “defiscalizzazione” dei benefit perché rappresenta, in modo contorto, l’immagine speculare dell’eliminazione del fiscal drag.

Se gli scaglioni d’imposta fossero ogni anno innalzati in misura pari all’inflazione, non ci sarebbero perdite aggiuntive di potere d’acquisto causate da incrementi nominali delle retribuzioni e quindi non servirebbero defiscalizzazioni. Come avrebbe detto Pippo, anzi Goofy, “è strano come una discesa, vista dal basso, assomigli tanto a una salita”.

Non so se i leghisti, che pure vantano un dipartimento economico di assoluta avanguardia, abbiano colto questa “coincidenza”. Forse sì, voglio essere generoso. Di sicuro costa molto meno “ritagliare” il fiscal drag che rimuoverlo alla radice. Soprattutto, un intervento automatico, ammesso e non concesso di avere i soldi, non permetterebbe ai partiti di prendersi meriti e presentare “rivoluzionarie” proposte di legge. E la vita procede placida, con proposte asfittiche e di pura “testimonianza” (di cosa, giudicatelo da soli). È la tecnica legislativa a Cialtronia, bellezza, e tu non puoi farci niente.

Io, invece, posso solo ribadire i (miei) punti programmatici: decentramento della contrattazione collettiva con salario minimo ed eliminazione del fiscal drag con riforma dell’Irpef.


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