Aumenta la disoccupazione ma non i posti vacanti nelle imprese
par Paolo Borrello
martedì 20 dicembre 2011
La disoccupazione aumenta ma non i posti vacanti. I dati relativi ai posti vacanti nelle imprese, resi noti dall’Istat, sono considerati preoccupanti dai sindacati perché rappresentano un segnale del vero e proprio “blocco” che contraddistingue la produzione, determinando pesanti effetti negativi sull’occupazione.
Questi i principali dati: sono 54.000 i posti vacanti nelle imprese dell'industria e dei servizi. Nel terzo trimestre dell'anno la quota di posti liberi nelle imprese dell'industria e dei servizi è pari allo 0,7% sul totale a fronte di una “base” di riferimento di circa 7,8 milioni di dipendenti nei comparti considerati. Il tasso di posti vacanti è pari allo 0,6% nell'industria, in aumento di 0,1 punti percentuali sullo stesso periodo dell'anno precedente, e allo 0,8% nei servizi, invariato in termini tendenziali, cioè rispetto all’anno passato. All'interno dell'industria il tasso di posti vacanti è aumentato, rispetto al terzo trimestre del 2010, di 0,1 punti percentuali nelle attività manifatturiere, mentre è rimasto fermo nelle costruzioni.
Nel terziario, su base annua, si registra un rialzo nei servizi d'informazione e comunicazione (+0,5 punti). Si osservano, invece, diminuzioni nelle attività finanziarie e assicurative (-0,2 punti) e nei servizi di trasporto e magazzinaggio (-0,1 punti).
E ora passiamo alle valutazione dei sindacati. I sindacati commentano con preoccupazione il dato Istat sui posti vacanti in Italia, le posizioni libere o in procinto di diventarlo per cui il datore di lavoro cerca attivamente un candidato. Posti che nel terzo trimestre risultano fermi su base annua e in calo se si fa il confronto con il resto del 2011. Per il segretario confederale della Cgil, Fulvio Fammoni, il fatto che aumenti la disoccupazione ma non i posti vacanti rappresenta “un evidente segnale del blocco della produzione e dei consumi e della loro nefasta ripercussione sull'occupazione”. E aggiunge: “Qualcuno sosterrà l'esistenza di mancanza di personale specializzato ma trattandosi di imprese sopra i dieci addetti molte avrebbero capacità di formarlo. Non può essere quindi liquidato così questo dato”, “la realtà - spiega Fammoni - è che non si assume e che troppe imprese stanno programmando per il 2012 una drastica riduzione del personale”.
Dalle cifre dell'Istat per il segretario confederale della Uil, Guglielmo Loy, emerge come “le aziende non ricerchino occupazione ‘dipendente’ da almeno un anno. C'è - continua - un blocco nei settori che creano produzione, causa ne è il radicale rallentamento dei consumi che deriva a sua volta da una compressione dei redditi per eccessivo carico fiscale”. Secondo il segretario generale aggiunto della Cisl, Giorgio Santini, l'Italia sconta comunque “una tra le più alte incongruenze in Europa tra i percorsi di istruzione e formazione”. Quindi, evidenzia che “al di là delle polemiche sterili e strumentali sull'articolo 18 è sempre più urgente affrontare le vere criticità del nostro mercato del lavoro a partire dal rilancio dell'apprendistato”. Sulla stessa linea della Cisl anche l'Ugl: “I dati diffusi oggi dall'Istat sono un'ulteriore conferma del ritardo italiano di questi ultimi anni in materia di formazione e istruzione e della difficoltà nell'incontro tra domanda e offerta di lavoro”.