Aumenta la disoccupazione. Lavoro: una merce in disuso

par Antonella Policastrese
mercoledì 1 aprile 2015

Torna a salire il tasso della disoccupazione. Poletti aveva strombazzato a destra e a manca la riforma del jobs act che avrebbe dovuto portare un'inversione di tendenza per quanto riguarda la drammatica situazione lavorativa in un Paese sempre più depresso e povero.

Ed invece, dopo timidi segnali di ripresa tra dicembre e gennaio, i dati fotografano una situazione davvero allarmante per la continua emorragia di posti di lavoro. L'Istat registra a febbraio un calo di occupati pari allo 0,2%, ed ancora una volta la crisi aggredisce il settore femminile con un tasso di disoccupazione che aumenta di 0,3 punti in un mese, per non parlare di giovani ed inattivi che, non avendo un cognome doc, rimangono ai margini di un processo produttivo del quale forse non faranno parte tanto facilmente.

E mentre nell'Eurozona i tassi di disoccupazione più bassa si registrano in Germania, Austria, Repubblica Ceca, Regno Unito, in Italia la disoccupazione giovanile cresce vertiginosamente, relegandoci a fanalino di coda in compagnia di Grecia, Spagna, Portogallo, Cipro, Ungheria. Questi i dati Istat che confermano ciò che da tempo si sapeva. Basta guardarsi in giro per capire che di questo passo sarà sempre più difficile risalire la china e che l'economia reale, più che passi da gigante, farà passi da gambero. Sempre più gente perde il lavoro. Non si contano più le vertenze in atto, le proteste che sono rimaste inascoltate, snobbate da parte di un governo che giurava di averci fatto uscire dalle acque stagnanti e che invece è protesa a fare il curatore fallimentare di un apparato produttivo al collasso, che ci propina controriforme ed agisce per conto terzi.

La società civile è stritolata da tasse sempre più alte rispetto all'eurozona ed una corruzione che mette al riparo una classe dirigente farlocca riversando sulla massa il peso di una crisi creata, voluta, che permane, dalla quale non si vede via d'uscita. Mentre in America è il sesto anno di ripresa, da noi si continua a parlare impietosamente di mandare a casa gli impiegati delle province, la cui vita lavorativa è appesa ad un filo, che presto andranno ad ingrossare le fila dei disoccupati. Ma, così facendo, come crescerà il lavoro, se sempre meno quattrini saranno disponibili da spendere, e come si creeranno nuovi posti se si licenzia senza pietà?

La parola d'ordine sembra essere licenziamenti. Altro che circolo virtuoso per invertire il senso di marcia. Si risparmia, lasciando a casa uomini, giovani, i 75 mila posti di lavoro evaporati, la stabilizzazione dei giovani un sogno abortito e la decontribuzione delle imprese una pioggerella primaverile che per tre anni servirà a far respirare aziende le quali se non riceveranno ordinazioni e commesse, non si capisce come saranno il motore della ripresa. Insomma parole, parole, soltanto parole, mentre i diritti saltano, la democrazia si contrae, come la domanda e l'offerta di lavoro. In compenso i figuranti, insieme all'attore principale, si esibiscono ogni giorno in un balletto di finte promesse, annunci prontamente smentiti dai fatti, di numeri lontani da una realtà che non preannuncia nulla di buono. Sotto la cenere cova il fuoco del dissenso. Non si può rimanere per sempre ostaggio di ciarlatani e venditori di fumo.

 

Foto: Leth-Olsenn/Flickr

 


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