Astensionismo: non vota chi ha il reddito basso

par Lorenzo C.
sabato 19 aprile 2014

L’equità dovrebbe essere uno dei tanti obiettivi politici di una classe dirigente. Il problema principale che si affronta nel provare a raggiungere questo obiettivo politico riguarda il significato stesso della parola “equità”, e quanto questa debba essere materiale, di possibilità, e quanto possa andare a scontrarsi con le libertà di ognuno. L’azione principe su cui si fonda la democrazia – che è quella cosa che dovrebbe formare il complesso normativo, di giustizia e convivenza pacifica all’interno di uno Stato – è il voto.

È alla luce di queste considerazioni che questo report pubblicato da Demos (un think thank americano che si occupa in particolar modo del rapporto esistente tra democrazia ed economia) diventa interessante. Nelle considerazione comuni e attraverso la lettura dei numeri emerge come le differenze economiche negli Stati Uniti tra ricchi, classe media e poveri si stia sempre più ampliando. Ciò significa che i ricchi sono sempre più ricchi, mentre la classe media si impoverisce. Questo processo si può riscontrare in quasi tutti i grandi paesi sviluppati ed industrializzati, che poi sono anche i paesi in cui vige un regime democratico più o meno maturo e solido.

La logica democratica vorrebbe che questi trend possano essere in qualche modo corretti attraverso l’azione del voto, senza gravi shock o guerre civili. La democrazia infatti non è altro che una guerra a bassa intensità tra persone e interessi contrapposti. Più persone hanno problemi economici, più entreranno in funzione comportamenti politici ed elettorali in grado di spostare il peso del potere (e quindi degli interessi rivendicati) da una parte all’altra. A ciò si aggiunge – in linea teorica – la capacità della così detta “società civile” di raggrupparsi in gruppi corporativi, come i sindacati, le unioni degli industriali, dei commercianti, dei medici, e così via, che agiscono e fanno pressioni sulle scelte politiche della classe dirigente “al di là” del voto. E poi ci sono i soldi.

Più forte diventa il potere economico privato, più questo avrà capacità di indirizzare alcune scelte politiche. Poteri economici diversi hanno obiettivi diversi, e quindi possono anche scontrarsi tra di loro, come ad esempio accade negli Stati Uniti attraverso le lobby. Questa serie di banalità però non ci dice il motivo per cui nei paesi industrializzati il voto delle persone meno abbienti – che sono sempre di più – non riesce a cambiare la direzione delle politiche pubbliche. Una delle risposte che Demos ha trovato è riassunta da questo grafico:

Che tradotto in parole semplici significa che solo due persone su cinque tra i meno abbienti si recano a votare, mentre lo fanno ben quattro persone benestanti su cinque. È un dato importante che ha a che fare con molte cose, tra cui la più importante riguarda l’istruzione. Statisticamente negli Usa i redditi più alti li hanno le persone più istruite. Anche negli altri paesi industrializzati vale questa tendenza generale. Una persona istruita è in grado di capire quali sono i propri interessi, e chi li potrebbe rappresentare in politica. Una persona poco o per nulla istruita, nel peggiore dei casi potrebbe disinteressarsi alla politica, mentre nel migliore dei casi non avrà le capacità e gli strumenti per poter individuare i propri interessi nel complesso ambiente democratico, finendo per “votare male”. Non è quindi solo “l’interesse economico” dei benestanti e dei ricchi che guida la politica di una democrazia industrializzata. Un forte contributo arriva dall’altra faccia della medaglia; dal “disinteresse politico” dei meno abbienti e dei meno istruiti, o dalla loro incapacità di votare secondo i propri interessi.


Leggi l'articolo completo e i commenti