Aspettando la riforma della Giustizia – La difesa tecnica
par Bernardo Aiello
martedì 26 ottobre 2010
Per ingannare l’attesa della riforma del sistema giudiziario, il vostro cronista vi suggerisce la lettura del saggio Giustizia – La parola ai magistrati, editore Laterza, Euro 16,00 , in cui il dottor Livio Pepino, magistrato ed ex presidente di Magistratura Democratica, la nota corrente di sinistra della Magistratura, raccoglie alcuni saggi sul sistema giudiziario, scritti proprio da alcuni suoi colleghi.
Uno di essi tratta della difesa tecnica, ossia della tutela in giudizio svolta dagli avvocati, ed è stato scritto da Paolo Borgna, procuratore aggiunto alla Procura della Repubblica di Torino. Il suo punto di partenza è l’articolo 24 della Costituzione, che recita «La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento».
Il dottor Borgna fa anche un’interessantissima storia del diritto alla difesa, partendo dal primo codice dell’Italia unita del 1865 e dall’assoluta negazione di questo diritto durante la fase inquirente; passando per le timide aperture del codice liberale del 1913, che prevedeva la partecipazione dell’avvocato dell’imputato ad alcune fasi dell’istruttoria; poi il ritorno indietro ad opera del codice Rocco del 1930, dunque in piena era fascista; poi il complesso e faticoso percorso delle sentenze della Corte Costituzionale e delle riforme del Parlamento per l’attuazione dell’art. 24 della Costituzione sopramenzionato, dal dopoguerra praticamente sino ai giorni nostri.
E’ nella frammentarietà di queste molteplici iniziative sull’attuazione dell’art. 24 e nella loro conseguente carenza di organicità che il dottor Borgna individua una delle principali cause delle attuali discrasie del sistema giudiziario.
Il vostro cronista si permette di aggiungere che, forse, questo percorso non è ancora concluso. Ad esempio è assolutamente inaccettabile il cosiddetto Decreto Penale, quello con cui è stato condannato l’ex direttore dell’Avvenire Dino Boffo per intenderci, con cui si irrogano condanne in nome del popolo italiano senza processo alcuno in una sorta di vergognosa giustizia sommaria. Se lo Stato ritiene che non sia opportuno far svolgere processi penali per fatti di marginale importanza, ebbene che li depenalizzi e trasformi la sentenza nell’applicazione di una semplice sanzione amministrativa; oppure che si attrezzi per svolgerli, questi processi. Tertium non datur.
Un altro punto di interesse del saggio è la comparazione sulla difesa tecnica fra la Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo ed il nostro Ordinamento secondo le pronunce della Corte Costituzionale. La Convenzione statuisce che «Ogni accusato ha diritto soprattutto [….] a difendersi personalmente o con l’assistenza di un difensore di sua scelta» , con ciò non considerando essenziale che la difesa sia tecnica, ossia sia svolta da un avvocato ; l’interpretazione dell’art. 24 della Costituzione è stata, invece, quella di considerare sempre necessaria la difesa tecnica perché la garanzia dei «beni ed interessi fondamentali ed irrisarcibili» dell’imputato necessita del «massimo di assistenza tecnica». In sostanza è questo il motivo per il quale l’imputato non può difendersi da solo e, se vuole dire qualcosa nel corso del dibattimento, deve ricorrere a dichiarazioni orali spontanee o, meglio ancora, deve ricorrere all’artificio di farsi interrogare.
Anche su questo punto le perplessità del vostro cronista. Il nostro sistema giudiziario, basandosi su questo pregiudizio, non riesce a far relazionare correttamente il cittadino inquisito/imputato con l’Istituzione pubblica. Quest’ultima, sia se Inquirente sia se Giudicante, non ha alcun obbligo di dialogare con il cittadino e di chiedergli la sua versione dei fatti, neanche quando questo è di fondamentale importanza per l’esito delle indagini o del dibattimento. E questo è assolutamente inaccettabile. Nei Paesi anglosassoni di common law sarebbe assolutamente inconcepibile. Il cittadino, per cui si chiede il rinvio a giudizio, viene sentito dal giudice in tempi molto brevi (in Inghilterra entro 23 giorni), viene edotto in maniera esaustiva di cosa è imputato e gli viene chiesto se è innocente o colpevole dei fatti e dei reati addebitatigli.
A parere del vostro cronista nei popoli latini di religione cattolica permangono gli atteggiamenti che hanno portato alla Riforma. In particolare permangono la rinunzia del credente ad affrontare autonomamente i temi religiosi e spirituali direttamente leggendo le Sacre Scritture e l’affidamento totale al clero per la loro conoscenza; i protestanti anglosassoni, invece, fanno gare di lettura della Bibbia e non vi è camera d’albergo che non ne abbia una copia nel comodino. Trasponendo questa differenza di criterio all’ordinamento giudiziario, il nostro obbligo della difesa tecnica e l’incomunicabilità fra cittadino e giudici. E qualcuno arriva a sostenere con molta irragionevolezza che le sentenze non devono essere discusse.
Le conseguenze di quanto sopra le ritroviamo nello stesso saggio del dottor Borgna e nella sua “ricetta” per affrontare i tanti mali della giustizia: «un intervento riformatore, preparato da un movimento culturale ampio e profondo, sostenuto da quella cultura della giurisdizione che accomuna avvocati e magistrati». Insomma, è un problema da “addetti ai lavori”.
Invece, per fortuna, la nostra Costituzione mette al centro l’uomo, il cittadino. Speriamo che la politica, nel riformare la Giustizia, di questo tenga conto e non di quello che pensano gli “addetti ai lavori”.