Articolo 18: i dettagli della riforma che terrorizza i lavoratori. Cgil: "Sciopero generale"

par Davide Falcioni
mercoledì 21 marzo 2012

Da Palermo a Milano, da Parma a Roma, da Torino a Reggio Emilia in queste ore migliaia di lavoratori, soprattutto delle aziende metalmeccaniche, sono in sciopero contro la riforma del mercato del lavoro sulla quale domani il governo dovrebbe mettere un punto finale. 

L'articolo 18 dello statuto dei lavoratori verrà quindi modificato. Se finora per gli imprenditori c'era il vincolo della "giusta causa" in caso di licenziamento di un dipendente, presto le cose cambieranno drasticamente. 
 
Le nuove regole sui licenziamenti sono state infatti illustrate ieri dal ministro Elsa Fornero. Restano nulli i licenziamenti discriminatori per tutti i lavoratori, viene previsto solo l'indennizzo (da 15 a 27 mensilità) per i licenziamenti per motivi economici (o ragioni oggettive), mentre per i licenziamenti disciplinari (o ragioni soggettive) la scelta tra l'indennizzo o il reintegro spetterà al giudice.
 
Tuttavia il più importante sindacato d'Italia, la Cgil, si è duramente espresso ed ha abbandonato il tavolo della trattativa, annunciando una lunga fase di mobilitazioni e lo sciopero generale: la Fiom ha applaudito all'iniziativa e annunciato che in tutte le fabbriche verranno organizzati sit-in di protesta e blocchi del lavoro. Cisl e Uil, invece, così come era accaduto con Marchionne, hanno deciso di appoggiare la linea del governo sui licenziamenti facili.
 
Ma vediamo quali sono, nel dettaglio, le tre tipologie di licenziamento. Poi cerchiamo di capire dove governo e Cgil non trovano un accordo.
 
RAGIONI DISCRIMINATORIE: il licenziamento per ragioni discriminatorie si verifica quando un lavoratore viene allontanato dall'azienda a causa delle sue idee o dell'attività svolta dentro e fuori il luogo di lavoro. Ad esempio attività sindacale o la partecipazione a uno sciopero: in tal caso l'articolo 15 dello statuto dei lavoratori annulla il licenziamento. Vanno intesi discriminatori gli allontanamenti per ragioni legate a posizioni politiche, di razza, sesso, religione o lingua. In questo caso governo e parti sociali si trovano totalmente d'accordo: in caso di ragioni discriminatorie il datore di lavoro ha l'obbligo di reintegrare immediatamente il lavoratore. 
 
RAGIONI ECONOMICHE: Alla base del licenziamento economico individuale ci deve essere un giustificato motivo oggettivo, da intendersi come "esigenze tecniche, organizzative o produttive" che portano l'impresa alla soppressione di un massimo di 4 posti di lavoro. Oltre questo numero scatta il "licenziamento economico collettivo", regolato da una un'altra procedura. Nel caso che il licenziamento non sia giustificato da una causa oggettiva finora l'impresa era obbligata a reintegrare il lavoratore. la riforma dell'articolo 18, invece, prevede solo un indennizzo economico compreso tra le 15 e le 27 mensilità (è il giudice a stabilirne l'entità esatta). Su questo punto Cisl e Uil sono d'accordo con il ministro del lavoro Elsa Fornero. La Cgil invece continua a dichiararsi fortemente contraria.
 
RAGIONI DISCIPLINARI: il licenziamento per motivi disciplinari è dovuto alla violazione è dovuto alla violazione di obblighi contrattuali contenuti nell'apposito codice disciplinare (o in caso di illecito penalmente perseguibile). Perché si arrivi al licenziamento la violazione deve essere di una certa entità, perché altrimenti il datore di lavoro è tenuto ad applicare sanzioni più moderate. In caso di ricorso del lavoratore è il giudice a decidere. Qualora venga riscontrata la mancanza di giusta causa verrà applicato il "modello tedesco": se il lavoratore non ha commesso il fatto il giudice ordina il reintegro. Negli altri casi residui (sempre nell'ambito dell'assenza di giusta causa), il giudice può ordinare solo un indennizzo dalle 15 alle 27 mensilità. Anche su questa tipologia di licenziamento la Cgil si è opposta, mentre Cisl e Uil hanno accettato le condizioni dettate dal governo.

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