Articolo 18. La CGIL indice uno sciopero generale: "Si vuole gettare fumo negli occhi dei lavoratori"

par Daniel di Schuler
giovedì 22 marzo 2012

Perché il governo insiste sulla sua abolizione e perché la CGIL sembra pronta a fare sfracelli?

L'articolo 18 che prevede il reintegro dei licenziati senza giusta causa nelle aziende con più di 15 dipendenti, nella sua forma attuale, protegge solo il 20% dei lavoratori del settore privato (ho letto che abolirlo significa introdurre lo schiavismo. Bene, allora lo schiavismo, per l'80% dei lavoratori italiani c'è da sempre senza che sindacati e sinistre abbiano detto o fatto nulla a riguardo) e, secondo le parole del neo-sinistrissimo Di Pietro, riguarda "circa cinquanta casi all'anno in tutta Italia". Di più. Secondo un sondaggio commissionato un paio d'anni fa da Confindustria, la sua esistenza rappresentava un problema solo per una percentuale infima d’imprenditori (qualcosa come il 3 o 4%).

La sua abolizione, dunque, non fa gli interessi della maggioranza degli industriali né danneggia quelli della stragrande maggioranza dei lavoratori. Perché allora il governo Monti insiste a questo riguardo e perchè la CGIL vi si oppone indicendo uno sciopero generale?

Le ragioni del Governo, ce le spiega ancora Di Pietro: "E' evidente, quindi, che il governo non ha un soldo da investire sui giovani e su un nuovo welfare veramente europeo (...) ma interviene da subito sull'art.18, trasformandolo in una specie di scalpo da consegnare alla BCE".

Perfetto. Le cose stanno davvero cosi, o quasi. Il Governo, che quando è entrato in carica ha trovato nelle casse fondi sufficienti a mandare avanti la baracca solo per un paio di settimane, non ha soldi da investire in alcunché e qualunque suo intervento deve essere a costo prossimo allo zero. La riforma del lavoro che sta elaborando il ministro Fornero, ha certo tra i suoi obiettivi l'occupazione giovanile (vanno in questo senso le norme per limitare il precariato o la proibizione degli stage gratuiti) ma deve pure rispettare questo criterio.

Solo su una cosa sbaglia Di Pietro; lo “scalpo” dell'articolo 18 non serve solo a convincere la BCE della nostra intenzione, dopo 30 anni di assoluta inerzia, di fare qualcosa per liberalizzare il nostro mercato del lavoro. Basterebbe questo, a dire il vero, a rendere Monti dengo di un ovazionei; se fosse sufficiente l’abolizione di una norma tanto irrilevante per giustificare gli aiuti che la BCE ci ha fornito (direttamente e, soprattutto, indirettamente), avrebbe fatto un colpo da maestro.

L' obiettivo non dichiarato del governo, però, è ancora più ambizioso; è quello di convincere a scommetere sul nostro futuro i mercati finanziari e le imprese straniere

Ricordiamo per l’ennesima volta che i lavoratori italiani sono tra i meno pagati e hanno le settimane lavorative più lunghe del mondo sviluppato. Non solo: il costo del lavoro italiano (il costo, tasse e contributi compresi) è tra i più bassi d'Europa.

In queste condizioni, se una molteplicità di fattori non le scoraggiassero (primi tra tutti le mafie e l’intricatissima burocrazia), le imprese dell’Europa più ricca, dove la manodopera è assa più costosa, dovrebbero fare la fila per scendere ad investire e produrre in Italia. L’articolo 18, con la prospettiva di cause pluriennali che comporta, e l’interpretazione che erroneamente ne è data “in Italia non si può licenziare”, è avvertito da queste come un ostacolo in più; un sassolino che pare però un macigno e la cui rimozione darebbe il segnale che in Italia il clima è cambiato e vi si può tornare a lavorare.

Quegli stessi dati su salari ed orari, spiegano molto anche dell’atteggiamento della CGIL. Un sindacato che avesse davvero a cuore gli interessi di tutti i lavoratori, dovrebbe essere strafelice del fatto che il nuovo articolo 18 sarebbe esteso anche a quell’80% di loro che al momento non gode, in pratica, di alcuna tutela.

Purtroppo, però, dopo aver consentito senza alzare ciglio che i propri iscritti fossero ridotti alla miseria, o quasi, il sindacato deve trovare un modo di giustificare la propria esistenza; ha scelto di farlo ora, non perché dia la minima importanza a quei “cinquanta casi all’anno in tutta Italia”, ma perché la sua credibilità nei confronti dei lavoratori è, giustamente, ai minimi di sempre.

“Si vuole gettare fumo negli occhi dei lavoratori” tuonano gli esponenti della sinistra più reazionaria (in Italia abbiamo reazionari d’ogni colore) che, senza peraltro aver mai visto l’interno di una fabbrica o aver mai passato una serata con una famiglia operaia, tacciano Monti ed i suoi ministri d’essere “professori chiusi nel loro mondo”.

Dopo aver scosso la testa pensando agli infiniti danni del berlusconismo (erano i seguaci del fu Presidente del Consiglio, fino ad ieri, a definire “intellettuali sulla torre d’avorio” gli oppositori), devo dar loro ragione. Sul fatto che si tratti di fumo negli occhi ho pochi dubbi. Che sia Monti a gettarlo in quelli dei lavoratori, però, a me non pare proprio.


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