Armellini: quanto vale la vita di un uomo? Millenovecentotrentaseivirgolaottanta
par domenico
giovedì 26 luglio 2012
Ora sappiamo quanto vale la vita di un precario. Neanche duemila euro. Per la precisione, 1936,80. È il risarcimento assegnato dall’Inail alla madre di Matteo Armellini, l’operaio trentunenne morto a Reggio Calabria, lo scorso 5 marzo, schiacciato dal palco in allestimento per il concerto di Laura Pausini. A determinare l’ammontare della vergognosa cifra, la bassa retribuzione di Matteo, lavoratore privo di alcuna tutela (men che meno della copertura assicurativa), senza precisi orari di lavoro (a volte, turni di sedici ore) e senza uno stipendio regolare. Destino comune a tanti giovani, laureati (in storia, Matteo) e non, costretti ad accettare condizioni da schiavi pur di sbarcare il lunario. O ti mangi questa minestra…
Sarebbe da sporchi comunisti pretendere che vite del genere valgano quanto quella di alti dirigenti e politici, che percepiscono stipendi di centinaia di migliaia di euro e per i quali (o almeno per i loro familiari) anche la morte diventa un affare, ma qua siamo di fronte all’insulto, all’inaccettabile offesa della dignità umana. Dignità che si stupra anche definendo l’obolo elargito “risarcimento per infortunio e malattia professionale”, mentre – sostiene la madre, che ha sporto denuncia e pretende giustizia – “Matteo non aveva ancora cominciato a lavorare”.
Mi rifiuto, mi rifiuterò sempre di accettare che il valore delle persone lo stabiliscano il mercato e gli stipendi loro assegnati o che esistano persone più uguali di altre: l’esiguità della somma liquidata dipende, infatti, anche dalla circostanza che Matteo non aveva moglie, né figli.