Amministrative e referendum: la debacle di Renzi e la posta in gioco
par Camillo Pignata
lunedì 6 giugno 2016
Il “partito della nazione" non funziona: Renzi e la sua cricca non controllano la periferia del partito, e non sono riusciti a formare una nuova classe dirigente. Il risultato delle amministrative parla chiaro: da Roma a Napoli a Milano a Bologna... ovunque una sconfitta, una perdita di voti e un arretramento di posizioni dei partiti tradizionali.
Le vittorie di Napoli di De Magistris e del MOV5S, mentre persiste l’astensionismo, denunciano la crisi di questi partiti che oggi intercettano le esigenze delle lobby e del potere finanziario, ma non quelle del popolo, che è oramai stufo di votare per chi non lo rappresenta e si rivolge a forze estranee a questo sistema di potere,e più vicine agli interessi popolari.
Il referendum è l’ultima spiaggia per la sopravvivenza politica del sindaco di Firenze, ma soprattutto del modello lobbistico finanziario da lui rappresentato.
Il rafforzamento dei poteri dell'esecutivo, a scapito del parlamento, e della volontà degli elettori, garantisce la sovranità del credito, ma anche lo scollamento tra partiti ed interessi popolari.
A scongiurare l’avanzata di nuove forze politiche, ma soprattutto il ripristino del legame tra di esse ed interessi popolari, c’è una sola via: l’impianto in costituzione di un sistema decisionale che emargina la volontà degli elettori, recide il legame di dipendenza tra partiti ed elettori, per consegnarli nelle mani delle lobby e del potere finanziario.
Il combinato disposto riforma costituzionale assicura un enorme potere a partiti. anche con pochi elettori.
Basta il 25 o 14 % o 12% dei votanti, che sono sempre di meno, per avere 348 deputati, sufficienti a garantire a questa minoranza la nomina e quindi il controllo del presidente della repubblica, dei membri dellla corte costituzionale e del CSM.
Per la vittoria di questa antidemocratica riforma scende in campo, contro le forze politiche e gli elettori del no, la signora Boschi, con annunci e critiche ingiustificate ed ingiustificabili, che non spiegano ragioni circostanze, modalità e tempi delle accuse, e per questo fanno terra bruciata della razionalità, della giustizia e della storia.
Gli elettori del no come casa Pound, partigiani veri e quelli falsi, l’arruolamento di Ingrao e Berlinguer tra i sostenitori del monocameralismo. E siccome non si butta niente, si utilizza tutto, anche una tesi tecnica del professore Dalimonte per lanciare accuse ai comitati e paura tra gli elettori del no.
Se vince il no, dice il professore, il Paese va al ballottaggio, senza una maggioranza.
Se prevale il no, dice la Boschi, ci sarà instabilità e ingovernabilità, agognata da alcuni partiti.
Attenzione elettori, se votate il no sarete vittime e complici della ingovernabilità del Paese. Questo il grido d'allarme della Boschi.
Sembra un allarme ed è invece un ricatto che distribuisce colpe e paura, un modo per colpire i partiti che sostengono il no, con il bollo della responsabilità e gli elettori con l’incertezza del futuro, il tutto condito da un’ipocrisia camuffata da un sorriso.
E che dire.
Per la signora Boschi una sola domanda: chi ha governato fino ad oggi, chi aveva la responsabilità di impedire che questo inconveniente della instabilità si verificasse? Ma lasciamo stare, non è questo il punto. Il punto è la scelta che ruota intorno al referendum, la scelta tra i partiti obbistici e quelli popolari. Il problema non è l’instabilità, cara signora Boschi, ci sono modi e maniere per evitarla.
Il problema è l’implementazione nella nostra carta e nel nostro Paese, in caso di vittoria del sì, dei partiti lobbistici e finanziari, e quindi della fine della democrazia in Italia.