Amici di Maria De Filippi. La malaeducazione

par camo
martedì 20 gennaio 2009

ll momento storico in cui viviamo si caratterizza per essere "acefalo", privo di qualunque autorità. Si nega l’autorità dei padri nelle famiglie, quella dei medici negli ospedali, quella dei professori nelle scuole. Nessun modello è, ormai, riconosciuto come credibile. Non solo dalle giovani generazioni, cresciute a merendine Kinder e reti Mediaset, ma anche dagli adulti, i genitori. Regna, in Italia, una perdita totale di capacità critica. Il menefreghismo è dilagante e va a braccetto con un nichilismo privo di fondamenta e di speranza.

E’, il nostro, un paese che tace di fronte alle prepotenze di Genova, le botte della polizia e le assoluzioni dei processi. Ed è lo stesso paese che si indigna e manifesta solo quando viene toccata la casta, la proprietà che si ritiene dovuta e legittima e che tace mentre migliaia di tassinari protestano contro la liberalizzazione delle licenze.

Cosa c’entra Maria De Filippi in tutto questo? C’entra eccome. Perché è anche sua la responsabilità di questa perdita di autorità. Sua e di chi, ancora, le consente di imperare nella televisione italiana. Di chi le permette di occupare un intero palinsesto con trasmissioni dai grandi ascolti ma nessun contenuto. Amici, più di Uomini e Donne, più di C’è posta per te, è dannosa e diseducativa. Lo è perché il suo pubblico è soprattutto composto da adolescenti, ragazzi in crescita, quindi, più facilmente influenzabili dalla televisione e dai suoi contenuti.



Quando, in una trasmissione che rappresenta una scuola, si permette agli studenti di rispondere ai professori, come si può impedire che nelle classi di una scuola vera non lo si faccia? Amici ha fondato i suoi ascolti ed il successo proprio su questo, sulle liti fra professori e studenti e ne ha fatto, quindi, il proprio tratto distintivo. La principale caratteristica del programma, perché non ci vengano a dire che ce ne sono altre, è una delle cause che porta, nelle classi italiane, gli studenti ad ignorare l’autorità dei professori. Se lo fanno in televisione, perché non dovrei farlo anche io?

Lo faccio perché lo fanno in televisione. Lo faccio perché un professore, con mille euro al mese, è un perdente e, per essere un vincente non serve sapere, studiare e faticare. È sufficiente andare in televisione ed essere uno di quelli che ce la fa. E per farcela basta essere più spregiudicati degli altri, non necessariamente più bravi.


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