Altro che Verdini: il vero «Me ne frego» è quello di Cicchitto. E il nostro
par Fabio Chiusi
sabato 4 dicembre 2010
Oggi ce l’hanno tutti con Denis Verdini, colpevole di aver pronunciato un fascistissimo «Me ne frego» rispetto alle «prerogative di Napolitano». Frase che lo stesso Verdini ha immediatamente rettificato al Corriere della Sera:
Non ho mai detto che ce ne freghiamo delle prerogative di Napolitano. E non lo penso. Ho invece ricordato che “politicamente ce ne freghiamo”.
Una frase sincera, finalmente. La cui traduzione è più o meno questa: “Noi del Pdl sappiamo benissimo che c’è una Costituzione che prevede certe procedure in caso di crisi di governo e certi poteri del presidente della Repubblica. Allo stesso tempo, riteniamo che dal punto di vista politico Napolitano non possa consegnare il governo del Paese a chi ha perso le elezioni. Quindi o Berlusconi o elezioni, il resto non ci interessa”.
Dopo qualche ora arriva una nota di Fabrizio Cicchitto, che secondo cronisti e commentatori «smorza i toni». Quando invece dice esattamente lo stesso di Verdini. E cioè che, pur senza «far venir meno il rispetto che dobbiamo al presidente della Repubblica e alle sue prerogative» (ovvero ai poteri attribuitigli dalla Costituzione, giusto per essere chiari), «le uniche alternative possibili sono: o la tenuta del governo Berlusconi [...] oppure le elezioni anticipate».
La sostanza, in entrambi i casi, è che l’unica alternativa a Berlusconi sono le elezioni anticipate. Ma è cambiata la forma: all’ammissione sfacciata che il rispetto per Napolitano interessa solo sulla carta (mentre quando si tratta di «fare», di decidere, chissefrega), si è sostituito il gergo ipocrita della politica: faremo e decideremo noi, ce ne fregheremo del rispetto delle regole, ma senza dirvelo apertamente. Perché apertamente vi diremo soltanto che ciò che facciamo è nel rispetto della «sovranità popolare». Anche violare gli equilibri istituzionali.
Così si realizza il paradosso per cui viene messo in croce chi dice le cose come stanno, proprio perché dice le cose come stanno, e invece chi invita a fare lo stesso, ma di nascosto, «smorza i toni», scansa le polemiche. Come se l’ipocrisia potesse porre rimedio al tentativo di rendere la Costituzione un soprammobile.
Ecco, a me sembra più pericoloso il linguaggio di Cicchitto, rispetto a quello di Verdini. Perché ormai abbiamo imparato ad accettarlo, a riconoscere come parte di un normale dibattito politico che il principale partito del Paese stia ponendo il capo dello Stato di fronte a un ultimatum: elezioni anticipate, o rivolta popolare. E che lo stia facendo con il contributo di giornalisti come quelli di Libero, che oggi hanno addirittura additato i «traditori» uno a uno. Come a dire: attenti a quello che fate, perché la punizione è dietro l’angolo. E non dovremo nemmeno sporcarci le mani. Sarà “il popolo” a farlo.
Il vero «me ne frego», dunque, è il nostro. Quello che pronunciamo ogniqualvolta accettiamo che questa dinamica sia normale. Verdini ci ha soltanto rubato le parole di bocca, mettendoci il coraggio di pronunciare quello che, purtroppo, i suoi elettori e il suo leader, Berlusconi, dicono abitualmente. E che i suoi detrattori accettano in silenzio finché non è squarciato il velo dell’ipocrisia. Che poi, passata l’indignazione, puntualmente si ricompone, ripiombandoci nel silenzio. Forse è così che si logora una democrazia: quando tra le regole del gioco ce n’è una che permette di violarle tutte, a patto che non la si pronunci mai.