All’epoca della Franziskana
par Bernardo Aiello
sabato 21 marzo 2009
In queste tristi epoche di disastro istituzionale giudiziario, di perdita del confine fra politica ed Amministrazione della Giustizia e di quant’altro sull’argomento, appaiono simpaticamente ingenue le lotte del tempo dei journaux de combat, nel Regno Lombardo-Veneto a cavallo della metà del secolo XIX.
Ce le racconta Ettore Dezza nel testo Processo penale e opinione pubblica in Italia tra Otto e Novecento , a cura di Floriana Colao, Luigi Lacché e Claudia Storti, editore il Mulino.
Era il tempo in cui nel Lombardo-Veneto era ancora applicato il codice penale asburgico del 1803, per gli addetti ai lavori la Franziskana, caratterizzata da una disciplina rigidamente inquisitoria, illiberale e fondata sul disconoscimento dei diritti e sull’arbitrio repressivo.
Accusa, difesa e giudizio erano appannaggio della stessa persona, il giudice penale disegnato dalla codificazione asburgica come un factotum a tre teste; nessun garanzia per l’accusato sul modo in cui i giudici venivano a conoscenza degli atti dell’inquisizione; espulsione dal processo penale della figura dell’avvocato difensore con esplicito divieto; sino alla «pena del bastone inflitta a chi nega di rispondere od ha un comportamento indecente e pertinace».
Quanta differenza con la Common low britannica !
A questo stato di cose cercò di porre rimedio il Regolamento Provvisorio di Procedura Penale del gennaio 1850, adottato dall’Impero asburgico in attuazione dei principi liberali stabiliti in materia di processo penale dalla Costituzione del 1849, concessa in risposta alle esigenze espresse dai moti rivoluzionari. Ma il nuovo Regolamento non trovò immediata applicazione in tutte le Provincie dell’Impero: la ebbe persino in Trentino, in Dalmazia ed in altre regioni di lingua italiana, ma non nel Lombardo-Veneto.
Questo fu il principale argomento di cui si occuparono le nuove riviste di settore, dal nome che appare oggi antico e fascinoso, come «La Temi» a Firenze, il «Giornale per le scienze politico-legali» di Milano e «L’Eco dei Tribunali» di Venezia.
Quattro erano i loro obiettivi per il processo penale : la pubblicità, l’oralità, la giuria e la difesa tecnica. Una battaglia di civiltà, che, come spesso accade nel nostro Paese, finì per essere persa.
Si cominciò con un rapporto del ministro Schemerling del novembre 1850, negativo per l’introduzione della giuria; così cominciò a circolare voce che, a differenza di austriaci, tedeschi, slavi, etc., gli italiani non erano maturi per questa innovazione.
Si finì, poi, per non far nulla di nulla: si ebbe nell’Impero una svolta restauratrice, che culminò con l’abrogazione della Costituzione del ’49, e l’offensiva normalizzatrice si concluse con la promulgazione di un nuovo codice penale nel 1852 e di un non più provvisorio Regolamento Generale di Procedura Penale nel 1853, frutto di un compromesso non sempre equilibrato tra tradizione e innovazione.
Tutto questo malgrado gli strilli degli italici journaux de combat, i quali, fra l’altro, non ebbero difficoltà alcuna ad individuare da chi erano formate le forze che si opponevano al nuovo perché legate alla Franziskana , come ad esempio venne riportato da «L’Eco dei Tribunali» di Venezia :
a) Da chi per inerzia, paura o per partito preso rifugge da ogni novità, segnatamente in materia di libertà costituzionali ;
b) Da coloro che preferiscono il loro interesse particolare a quello generale (e questi sono i nemici più pericolosi) ;
c) Dagli amanti della tradizione dottrinale, dei suoi cavilli e delle sue astruse costruzioni ;
d) Dai magistrati e dai funzionari che temono, con l’avvento delle novità, di perdere prestigio, autorità e rendite di posizione.
Guardando all’oggi, verrebbe da dire nihil sub sole novi, ossia niente di nuovo sotto il sole.