Alfano, il processo a Gesù insegna
par Fabio Della Pergola
lunedì 26 agosto 2013
Scriveva, tanti anni fa, il dotto filosofo Filone (17 a. C – 42 d. C.), che “c’era in Alessandria un povero pazzo che si chiamava Karabas”.
Fu trascinato, il povero demente, fino alla palestra dove "fu fatto salire sopra un palco ben alto perché tutti potessero vederlo. A guisa di corona gli misero sul capo un cesto sfondato e sulle spalle, come mantello, un ruvido tappeto; poi un tale, vedendo un giunco lungo la strada, lo strappò e glielo mise in mano a guisa di scettro. Dopo averlo così decorato con le insegne della regalità, come se fosse un buffone da teatro, alcuni giovani con dei bastoni in spalla formarono intorno a lui la guardia del corpo, mentre altri venivano ad inchinarsi davanti a lui, a chiedergli giustizia, a consultarlo sugli affari pubblici…”
Al contrario non c'è negli scritti filoniani alcun accenno alla vicenda di un predicatore itinerante di nome Yeshuah Bar-Yosef (Gesù figlio di Giuseppe) nella Palestina del tempo (Filone morì, sembra attorno al 50 d.C., e visse quindi proprio in contemporanea con i fatti raccontati dai Vangeli). Eppure era un erudito sempre ben informato di quanto succedeva nel vasto mondo.
Così la vicenda che noi conosciamo come la storia di un uomo chiamato Gesù di Nazareth, detto il Cristo, cioè l'unto dal Signore, ci è solamente raccontata dai Vangeli: "Allora i soldati del governatore portarono Gesù nel pretorio e radunarono attorno a lui tutta la coorte. E, spogliatolo, gli misero addosso un manto scarlatto; intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero una canna nella mano destra e, inginocchiandosi davanti a lui, lo schernivano, dicendo: «Salve, re dei Giudei!»":
Ma non sappiamo se sia una storia con qualche traccia di verità, di cui Filone fosse rimasto misteriosamente all’oscuro (a parte naturalmente la questione dell'incarnazione di Dio in quell’uomo, vicenda che a me continua a sembrare piuttosto poco credibile). Oppure se non si tratti piuttosto di una curiosa manipolazione del triste racconto di Karabas l’egiziano, magari passata di bocca in bocca, fra un boccale e l’altro, nelle lunghe serate mediorientali, quando stesi sui tappeti nella tremolante luce delle lucerne, avvolti dalle spire di fumo di misteriose erbe aromatiche gettate nei bracieri, veniva raccontata la sua storia che via via si arricchiva, grazie alla immaginifica fantasia degli affabulatori e allo scorrere del vino, di particolari sempre nuovi, pregni di sorprendenti fatti e miracolistici avvenimenti, ornata sempre più di vicende di comete e di Re, di sangue e di amori, di amicizie e di inganni e di pesci che si moltiplicavano e di acque tramutate in vino, di morti che resuscitavano e di immense folle acclamanti e di barche e di uomini violenti e sanguinari e di baci e di tradimenti e di donne piangenti e di prodigi e di sventure; e di danari sonanti e scudisciate sibilanti e lacrime e croci di legno e luminosa gloria e meraviglia e soldati genuflessi e squarci nelle nubi e invocazioni disperate e infine di stupefacenti ascensioni, incredibile a dirsi, nell'alto dei cieli.
Insomma, la storia del Cristo era quella di Karabas diventata mistico racconto del prodigio divino nelle parole di inebriati favoleggiatori o la storia di Karabas è quella del Cristo svilita, derisa e resa ignobile farsa dagli astiosi, maligni nemici della parola?
La domanda, che assilla da così tanto tempo, torna impellente oggi nell’attualità politica del nostro povero, martoriato paese.
Perché l’integerrimo vice Presidente del Consiglio ed esemplare Ministro degli Interni che tutto il mondo (quello kazako in particolare) ci invidia, ha ricordato al popolo italiano che il “l'esempio di Cristo evidenzia l'esigenza di un giusto processo e i limiti di un giudizio popolare”, riferendosi alle note vicende del suo leader considerato reo di illecite operazioni fiscali, benché si sapesse bene che anche lui era stato "unto dal Signore".
E che, quindi, bisogna avere l’umiltà di abbassare la testa in segno di rispetto verso una più alta forma di giustizia. Una giustizia superiore in cui ai giusti sarà concessa grazia e ai reprobi la condanna, giustizia che non si può davvero ottenere qui in terra dove siamo tutti, magistrati in primis, vittime della finitudine umana: questo il senso trasmesso dalle sue parole.
Ma, resta il quesito; egli si riferiva alla vicenda di quel fantomatico Cristo, raccontata dagli affabulatori dei secoli successivi sulla base di ricordi forse un po’ confusi ed alterati dal tempo e dal vino, o alla storia puntigliosamente annotata, nel momento storico in cui avveniva, dall'erudito cronista egiziano?
Il Ministro ha parlato del processo all’uomo-dio adorato dai cristiani o alla vicenda del povero pazzo egiziano del racconto di Filone?
Il legame storico tra le questioni del Cavaliere, per il quale il Ministro spende tante impegnative parole, e l’Egitto è noto: si tratta della mai dimenticata signorina nipote di quell'uomo di potere, recentemente rilasciato dalla giunta militare in quanto “Zio di Ruby Rubacuori”. E questo nesso geografico con il paese dei faraoni sembra essere indicativo: non alla vicenda del Cristo si riferiva davvero il prode Alfano, ma a quella, miserevole, del povero Karabas la cui insanità mentale lo condusse alla gogna, con i simboli della sua fantasticata regalità: un cesto in testa, uno straccio come mantello e un giunco in mano.
Poi, così decorato come un buffone da teatro, se ne andava in giro ed “alcuni giovani con dei bastoni in spalla formarono intorno a lui la guardia del corpo, altri vennero ad inchinarsi davanti a lui, a chiedergli giustizia, a consultarlo sugli affari pubblici”. E vennero anche a ricordare a tutti che non c'è giustizia in questo povero mondo mortale...
Ma, naturalmente, come non ricordare - prendendo per buono l'esempio citato dal prode Alfano - che il processo a Gesù fini come finì proprio perché non seguì le regole di una magistratura indipendente capace di indagare ed applicare la Legge senza guardare in faccia a nessuno, seguendo regole ben precise e prestabilite, in modo autonomo dalla volontà dei potenti o dalle tendenze umorali di una folla sovreccitata.
Alla fine la drammatica alternativa fu tra la liberazione di Yeshuah Bar-Yosef (Gesù figlio di Giuseppe) e quella di Yeshuah Bar-Abbâ (Gesù figlio del Padre), che noi conosciamo come Barabba; alternativa (oltremodo misteriosa) che il prefetto Ponzio Pilato offrì al popolo in ebollizione. Con i risultati che sappiamo.
Repetita iuvant: con i risultati che sappiamo. Quindi, occhio.