Aldrovandi: applausi in disprezzo della morte di un ragazzo

par Fabio Della Pergola
venerdì 2 maggio 2014

Gli agenti applaudono i colleghi condannati per omicidio. Le istituzioni condannano.

Mentre un manipolo esultante di inqualificabili individui (che personalmente ritengo repellenti) plaude con clamore all’apparizione in sala di tre dei quattro agenti condannati per la morte di Federico Aldrovandi, l’intero mondo politico che ha conservato qualche briciola di sentire “umano” (quindi il leghista Salvini escluso) esprime parole di condanna per l’accaduto e di solidarietà alla famiglia.

Giusto. Ma insufficiente.

I quattro individui condannati hanno conservato posto e stipendio di tutori dell’ordine dopo aver ampiamente dimostrato di essere incapaci (quantomeno) non solo di mantenere correttamente l’ordine e la sicurezza, ma anche di mantenere, in sé, la più semplice e normale capacità di provare sentimenti umani.

Oltre che di sapersi prendere delle responsabilità, dal momento che loro (e non solo loro) al tempo dei fatti cercarono di imbrogliare le acque perché sembrasse che il ragazzo si fosse fracassato la testa da solo contro un palo. Alla fine altri tre funzionari di polizia sono stati condannati per i depistaggi che hanno intralciato a lungo le indagini.

Ora i quattro vengono portati sugli scudi dagli iscritti ad un sindacato di polizia politicamente vicino a quello che andò a manifestare in loro favore addirittura sotto le finestre del Comune dove lavorava ed era presente la madre del ragazzo assassinato. Erano andati a sputare il loro veleno proprio davanti agli occhi di una madre a cui era stato massacrato un figlio, per niente. Nonostante il sindaco stesso di quella città fosse sceso in strada a chiedere che si spostassero di qualche decina di metri. Ma l’hanno rimandato indietro con l’arroganza tipica del questurino dei bei tempi andati.

Mettendo in mostra così - non il loro sacrosanto diritto a manifestare, cosa che nessuno gli avrebbe mai potuto impedire di fare - ma il loro livore insopportabile.

Qualsiasi cosa abbia fatto quel ragazzo, a qualsiasi escandescenza possa essersi abbandonato nel caso l’abbia fatto, era uno, solo e disarmato. Gli agenti erano in quattro e armati. E l’hanno ucciso. E l’hanno lasciato per terra, senza soccorso, per ore. E gli hanno rotto addosso due manganelli. E hanno falsificato i fatti. La pena che hanno ricevuto è stata estremamente mite ai miei occhi: 42 mesi di cui 36 condonati per indulto (quindi sei mesi di carcere in tutto); ma non giudico l’operato della magistratura. Avrà avuto le sue ragioni.

Ma che vengano esaltati e salutati come eroi di una parte che si ritiene, non so per quale motivo, offesa e vituperata, è insopportabile per chi ha ancora una qualche considerazione del vivere civile. Anche minima.

La giustificazione sarà forse la solita: poliziotti e carabinieri rischiano la vita tutti i giorni per quattro soldi. E mi sembra che mai coinvolgere tutti quelli che davvero rischiano la vita per quattro soldi appaia più ingiustificabile e così profondamente sbagliato.

I quattro avevano con sé manette e manganelli e le pistole nelle fodere e probabilmente anche qualcosa di più in auto. Non avevano niente da temere da un ragazzo disarmato. Non rischiavano affatto la vita, né avevano niente da perdere se non la loro umanità. E l’hanno voluta perdere. Hanno volutamente deciso di comportarsi come gli esseri umani - quelli che sono e restano esseri umani - non si comportano. Hanno scelto e la loro scelta è stata quella di non essere esseri umani.

Applaudirli significa quindi, prima di tutto, esaltare la bestialità che questi quattro “tutori dell’ordine” hanno voluto agire. E non ci può essere alcuna comprensione, nessuna complicità, nessuna "vicinanza", nessuna scusante per questo applauso. Un gesto che fa ribrezzo.

Le parole di condanna delle istituzioni sono perciò giuste, ma non sono sufficienti.

Il capo della polizia Pansa ieri ha detto che non può cacciare i quattro condannati per omicidio colposo. E’ possibile, anche se un qualsiasi altro lavoratore può essere licenziato per molto, molto meno. Ma almeno li mandi a lavorare in cima a una montagna, mandateli all’estero, mandateli dove volete, ma lontani dalla vista di quella madre e dagli applausi di quel manipolo fascistoide di scagnozzi esaltati che li considerano eroi di non si sa cosa.

Mandateli lontani da un paese che traballa da troppo tempo e pericolosamente sulle sue malferme gambe democratiche.

E poi inserite nel codice il reato di tortura e obbligate l’introduzione del codice identificativo per gli agenti in servizio pubblico. Perché se agenti dell’ordine esaltano dei colleghi omicidi, lo Stato deve rispondere con un deciso, fermo innalzamento delle garanzie democratiche per tutti i suoi cittadini. O così o finirà molto male.

Ma ci sono anche agenti e funzionari che si dissociano dai fanatici plaudenti. Esattamente come molti di noi "civili" - giornalisti, politici e semplici cittadini - si dissociano con totale fermezza dai violenti di piazza.

E questo è un buon segno per tutti, poliziotti e non.

 

 

 

 


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