Aldrovandi. Ora che non è più "Zona del silenzio"

par Francesco Raiola
mercoledì 8 luglio 2009

Ero in treno e stavo leggendo “Zona del silenzio”, la graphic novel di Checchino Antonini e Alessio Spataro (con prefazione di Girolamo di Michele) uscita da poco per Minimum Fax, su uno di quello che si pensava potesse rimanere una tante ingiustizie della storia italiana: “Il caso Aldrovandi”, quando ricevo la telefonata di un amico che mi dice che i poliziotti sono stati condannati: 3 anni e 6 mesi per gli agenti che nel 2005 hanno ucciso Federico Aldrovandi. Proprio l’altroieri, infatti, il giudice Francesco Maria Caruso ha condannato Paolo Forlani, Monica Segatto, Enzo Pontani, Luca Pollastri, per eccesso colposo in omicidio colposo.
 
Federico Aldrovandi è un ragazzo di 18 anni che dopo una serata con gli amici, mentre ritorna a casa, è fermato dalla polizia, perché, sostengono, stava dando in escandescenza. Lo fermano, ma lui comincia ad agitarsi e per calmarlo i poliziotti lo sbattono a terra... e quello che succede in quel frattempo cominceremo a saperlo solo molto tempo dopo, dopo testimonianze ritrattate, smentite da parte degli agenti, fiaccolate, ammissioni, e la testardaggine di una madre. Il riconoscimento del ragazzo è fatto dallo zio infermiere che da subito, assieme alla madre di Aldrovandi - che crea un blog ad hoc - accusano la polizia di averlo ucciso. Overdose, droga, continua a sostenere la polizia, nonostante le ferite e gli ematomi trovati addosso al ragazzo, due manganelli rotti, un testicolo schiacciato e la vita di un 18enne andata in fumo e nonostante dai verbali risulti una telefonata tra gli agenti che recita: “L’abbiamo bastonato di brutto per mezz’ora”: un modo di dire si difenderanno gli agenti.


Un po’ “Fattoria degli animali” di Orwell, un po’ “Maus” di Art Spiegelman, con quei personaggi trasformati in animali, con i poliziotti maiali, il giornalista topo, e poi cani, gatti, etc... quella che Checchino Antonini ha compiuto per anni attorno a un caso che gli è praticamente scoppiato tra le mani - e finalmente ha trovato la sua prima sentenza - è soprattutto un’inchiesta. Nei disegni vengono messi in chiaro quali sono le contraddizioni di questo caso, le stesse che hanno portato gli agenti ad essere condannati, i racconti degli amici di Aldro, delle discussioni nella redazione di “Liberazione” - il primo ad aver portato in prima pagina questo fatto di cronaca, che altrimenti rischiava di rimanere un semplice lutto familiare, condito di rabbia - e gli intrecci della vita del giornalista topo.
 
La scena di Aldrovandi-Bruce Lee, in grado di tenere testa a quattro agenti sarebbe comica se non sapessimo quanto sia tragico quello che è avvenuto.
 
“Ucciso due volte” ripete la madre disegnata da Spataro, rinomato fumettista catanese. Ucciso dal silenzio che la stessa polizia ha creato attorno al caso, dallo screditamento del ragazzo, dal silenzio iniziale dei media maggiori, che solo allo scoppiare del caso, si sono accodati, e dal silenzio di Ferrara. Nessuno, inizialmente, aveva visto niente, sentito niente, nonostante le urla e l'agitazione.

Alla mente torna Genova, torna l’uccisione di Giuliani “la zecca”, tornano i racconti di chi era alla Diaz e nitide tornano alla mente i racconti di chi è stato portato a Bolzaneto, zona franca di violenza. Tornano alla mente le pene lievi inflitte a chi aveva ordinato le umiliazioni (fisiche e psicologiche), e poco contano i due anni chiesti per l'ex capo della polizia De Gennaro, capo della polizia all’epoca dei fatti.
 
E poi torna alla mente la morte di Niki Gatti, un’altra morte misteriosa, e un’altra madre che non ne vuole sapere di archiviare la morte del figlio come suicidio. Troppi tasselli che non tornano, troppi pezzi che non s’incastrano.
 
Insomma una storia buia che rischiava di rimanere ancora più buia, nel paese che di misteri irrisolti si crogiola. Il primo passo è stato fatto, aspettiamo però la pagina finale di questa orrenda storia.



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