Ai confini tra la vita e la morte

par LucidaMente
mercoledì 24 luglio 2013

Le cosiddette “esperienze Nde” non sarebbero altro che ricostruzioni di visioni condivise intorno a ciò che si pensa possa esserci nell’aldilà. Ne abbiamo discusso con il neuropsicologo Sergio Della Sala

 

Spesso si sente parlare di "Near death experience" (“esperienze Nde”): diverse persone raccontano di avere provato sensazioni particolari durante un periodo di coma o di perdita della coscienza. In alcuni casi, queste percezioni sono risultate accompagnate dalla visione di una luce in fondo a un tunnel o dall’impressione di abbandonare il proprio corpo e di scrutarlo da una differente prospettiva. Taluni pazienti riferiscono di aver osservato se stessi da un angolo della sala ospedaliera, altri, invece, dopo un incidente stradale, sostengono di essersi visti a terra durante le operazioni di soccorso.

Spesso questi argomenti vengono trattati senza perizia scientifica, con il rischio di comunicare al pubblico informazioni scorrette e imprecise. Le credenze religiose, poi, giocano un ruolo fondamentale per l’interpretazione di fenomeni insoliti ed emotivamente coinvolgenti: tutti vorremmo che esistesse un aldilà, ricco solo di felicità e benessere. Ed ecco che, all’uscita da uno stato di coma, il paziente può interpretare i propri confusi ricordi come un viaggio metafisico, completato da fantasie più o meno involontarie, che ricoprono le numerose zone d’ombra della mente. Capita anche che medici credenti, magari in buona fede, tendano ad attribuire ai normali fenomeni neurofisiologici un valore spirituale e ultraterreno generando, in questo modo, uno stato di confusione che può indurre all’autoinganno. Per cercare di capire meglio e mettere ordine nelle implicazioni neurologiche delle “esperienze Nde”, abbiamo intervistato Sergio Della Sala, docente di Neuropsicologia sperimentale e direttore dell’unità di Human cognitive neuroscience dell’Università di Edimburgo, ma anche saggista e presidente del Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sul paranormale (Cicap).

Benvenuto, professore. Da un punto di vista medico, come si spiegano le cosiddette “esperienze Nde”?
«Grazie e ben trovati. È anzitutto necessario ricordare che queste manifestazioni non si presentano sempre come positive per le persone che testimoniano esperienze di premorte. Nella maggioranza dei casi, però, la fenomenologia delle Nde è del tutto analoga: le sue componenti tipiche sono simili a esperienze associate a condizioni neurologiche di vario tipo o a forme dirette di stimolazione cerebrale. L’Nde non può, dunque, essere considerata la dimostrazione di una forma di coscienza separata o di un aldilà. Nessuna parte che costituisce queste esperienze è peculiare, unica.
La letteratura esistente non fornisce alcuna prova convincente (al di là di aneddoti e questionari) in grado di contraddire le spiegazioni neuroscientifiche del fenomeno. Le Nde sono esperite in situazioni di disinibizione neurale, la cui causa più comune è l’anossia, cioè la mancanza di ossigeno nel cervello. Tra i fattori scatenanti si annoverano anche confusione, traumi, deprivazione sensoriale, patologie neurologiche, epilessia, emicrania, uso di droghe, stimolazione cerebrale. Il funzionamento del cervello, infatti, è così complesso che anche cambiamenti molto modesti della sua struttura o del metabolismo sono sufficienti a incrinarne il delicato equilibrio. Ecco perché le componenti delle Nde si ritrovano pure in altri contesti. La cascata di eventi descritti ha origine probabilmente da un danno, acuto o cronico, o da interferenze a carico di un cospicuo numero di aree corticali e sottocorticali e delle loro connessioni. Le esperienze al confine con la morte non sono altro che ricostruzioni confabulatorie di quello che visioni condivise suggeriscono accada nell’aldilà. Siccome siamo abituati a stimoli che provengono dall’esterno, quando è una parte del cervello a generare inaspettatamente queste illusioni, un’altra le interpreta come eventi esterni. Così, l’anormale è percepito come paranormale, ma non c’è nulla di “extrasensoriale” in un fenomeno fisiologico».


Ci sono testimonianze di persone ritenute morte dal punto di vista medico, il cui cuore, però, ha ripreso a battere dopo qualche minuto ed esse sono tornate a percepire, sentire, vedere. È vero che esistono vari tipi di coma e che misurare l’attività elettrica corticale e sottocorticale del cervello è molto importante?

«Platone, nel decimo libro de La Repubblica, racconta il mito di Er, soldato morto in guerra e tornato in vita dopo dodici giorni, appena prima che il suo cadavere decomposto venisse bruciato su una pira. Er resuscita per ordine di giudici che rimandano la sua anima sulla terra, a testimoniare i fatti visti e uditi nel mondo dei defunti. Se questa fosse stata una storia vera, anche i più scettici avrebbero ascoltato con meraviglia la descrizione di un oltretomba in cui giudici, seduti in mezzo a due voragini, accolgono le anime, imponendo loro la strada verso il cielo o verso il basso. Nessuno scienziato avrebbe potuto diagnosticare a Er una morte apparente o far risorgere altri cadaveri putrefatti. Dunque, tali racconti non hanno mai dato adito a spiegazioni naturalistiche. Ben diverso è il caso dei pazienti rianimati dopo una momentanea riduzione delle proprie funzioni vitali, in cui il processo di morte, per sua natura irreversibile, non è mai cominciato. Il coma è una delle manifestazioni più sconcertanti dell’interruzione del sistema nervoso, ma bisogna considerare che ne esistono diversi tipi, mentre talvolta se ne parla come fosse un’unica condizione. In particolare, uno stato di coma può derivare da due distinte situazioni, ovvero da un malfunzionamento diffuso della corteccia cerebrale – per esempio, nel caso di un’anossia – oppure da un danno alla formazione reticolare, per trauma diretto o per compressione. Quindi, diventa fondamentale controllare il meccanismo cerebrale sia corticale che sottocorticale».

I concetti di morte medica e morte legale sono ben separati. Ce li può illustrare?

«Certo. Definire lo stato di morte è più complesso di quanto si pensi e la sua spiegazione cambia con l’accrescimento delle nostre conoscenze e la sofisticatezza delle tecnologie. Attualmente, il decesso viene accertato in assenza di ogni funzione cerebrale. In questa condizione è possibile mantenere meccanicamente il corpo in vita apparente per mezzo di ausili esterni, come la ventilazione forzata. Si può, pertanto, operare il percorso di diagnosi di morte, la quale non è un evento unitario: quando il sistema cardiocircolatorio smette di funzionare, parliamo di morte clinica, mentre il concetto di morte cerebrale o nervosa, detta legale, è stato introdotto parallelamente alla possibilità di trapiantare organi e, quindi, permetterne l’espianto in tempi utili».

Grazie, professor Della Sala.

 

Marco Cappadonia Mastrolorenzi (LucidaMente, anno VIII, n. 91, luglio 2013)

 

Foto logo: Jean-Etienne Minh-Duy Poirrier/Flickr


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