Agricoltura bio: viticoltore finisce in tribunale perché non vuole usare pesticidi

par Francesca Barca
lunedì 24 febbraio 2014

Emmanuel Giboulot è un viticoltore francese della Borgogna che lunedì 24 febbraio si è dovuto presentare in tribunale a Digione per aver rifiutato di applicare un'ordinanza della prefettura che chiedeva l'uso di un pesticida non biologico. 

L’accusa? Giboulot si è rifiutato di trattare con un pesticida i suoi vitigni di chardonnay e di pinot nero contro la Flavescenza dorata, un parassita delle piante che colpisce le viti, estremamente contagioso. Rischiava fino a sei mesi di prigione e fino a 30mila euro di ammenda. 

Il procuratore della Repubblica è stato più clemente: 1000 euro di multa. Il 7 aprile il tribunale prenderà una decisione. 

Ma cos'è successo? 

«Non volevo usare un prodotto chimico nei miei campi. La mia famiglia li coltiva in maniera biologica dal 1970 (…). Vengo giudicato per essermi rifiutato di avvelenare le mie terre», racconta Giboulot a Le Monde

L’agricoltore non ha rispettato un’ordinanza emanata nel luglio scorso dal prefetto della regione, che imponeva a tutti i vitigni della Côte-d'Or – il dipartimento della Borgogna dove si trova Giboulot – l’uso di un insetticida contro la cicalina, l’insetto che trasmette la Flavescenza dorata.

 Fin dagli anni Cinquanta in Francia, seguendo regolamenti nazionali ed europei, circa il 50% delle coltivazioni di vino viene trattata contro questa malattia. Fino ad ora la Côte-d'Or non ne era stata toccata ma il dipartimento vicino, la Saône-et-Loire, è già alla terza epidemia dal 2011.

Per questo la prefettura di Digione, il capoluogo amministrativo della regione, esigeva la lotta chimica contro la cicalina. Giboulot spiega che ha rifiutato il trattamento perché nel suo dipartimento non c’era nessun focolaio della malattia (almeno al momento della sua scelta). Gli risponde, sempre su Le Monde, Olivier Lapôtre, capo del servizio regionale dell’agricoltura e delle foreste (Draaf), una sorta di direzione regionale del Ministero:

«C’è uno scarto di almeno un anno tra la contaminazione di una pianta e i sintomi. Quando si può vedere il focolaio è già troppo tardi (…). Le nostre paure erano fondate, è stato trovato un focolaio della malattia a pochi chilometri da Beaune (paesino della Côte-d'Or)».

Il problema per Giboulot è che il Pyrevert, l’insetticida che si dovrebbe usare, non è selettivo: non uccide solo l’insetto che causa la Flavescenza dorata, ma anche altri che, secondo gli agricoltori, sono essenziali per gli equilibri del vitigno.

«Il Pyrevert, anche se è di origine naturale (è fatto coi fiori di crisantemo) è dannoso per l’ambiente perché può danneggiare anche gli uccelli, gli animali e, in grosse quantità, i viticoltori», dice Denis Thiery, direttore dell’unità di salute e agroecologia dei vitigni dell’Istituto francese della ricerca agronomica.

Intanto su Facebook è già nato un gruppo di sostegno a Giboulot che al momento ha 104mila fan. L'Institut pour la Protection de la Santé Naturelle, un organismo belga, ha anche lanciato una petizione (che ha raccolto oltre 470mila firme) e prodotto il video qui sotto, dove lo stesso Giboulot racconta la sua storia: 

Nel comitato di sostegno dell’agricoltore figurano Europe-Ecologie-Les Verts, il Nuovo Partito Anticapitalista (NPA), Greenpeace e Attac.

Per quanto riguarda i colleghi agricoltori, invece, la storia di Giboulot è controversa. L'ufficio interprofessionale dei vini di Borgogna (BLVB) ha dichiarato che non ne vuole fare "un martire", che l'uomo non è il solo difensore della natura nella regione e che la Borgogna non "inquina" i suoi vini. 

Giboulot si dichiara sereno. Al Journal de Saône-et-Loire ha dichiarato che questo affare mostra «un vero problema di fondo che va al di là del suo caso. Sono solo il detonatore di questa presa di coscienza sull’impatto dei prodotto fitosanitari. Penso che a partire da ora bisognerà prendere in considerazione questo movimento. Per quanto mi riguarda, decidere di non trattare, quando ancora la malattia non si è ancora manifestata, non vuol dire essere “radicale”»

La fotodi Giboulot arriva da qui

Foto di apertura: Parker Knight/Flickr


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