Afghanistan, chi governa per chi
par Enrico Campofreda
martedì 26 agosto 2014
Il panorama istituzionale afghano che - verifiche delle schede a parte - viaggia verso la creazione d’un “governo d’unità nazionale” coi contendenti Abdullah e Ghani uniti nel cogestire il piano preparato da Washington, potrebbe trovare qualche ostacolo. Una delle sorprese politiche che prende corpo è l’allargamento del Fronte di Unità nazionale anti americano contro le basi militari. Una sedicente Jirga della pace sorta per iniziativa di Shah Ahmadzai, ex primo ministro del mujaheddin Rabbani, l’eminente esponente dell’Alleanza del Nord che finì i suoi giorni in un attentato, s’oppone all’occupazione perenne del Paese da parte delle truppe Nato.
Nel mirino c’è il Bilateral Security Agreement, l’accordo creato nel momento di rapporti ancora buoni fra Karzai e Obama, che prevede la continuazione della presenza militare statunitense in molte province afghane, soprattutto attorno alle basi aeree, per un controllo strategico sul versante militare e su quello economico. L’ex presidente s’è poi sfilato dalla promessa di apporre la firma definitiva al patto e nel novembre scorso ha passato la palla alla Wolesi Jirga (la Camera bassa). Oggi i due pretendenti alla carica di Capo dello Stato si mostrano disponibili a firmare e John Kerry è felice.
A rompergli le uova nel paniere restano gruppi democratici da sempre all’opposizione, impegnati nel sostegno alla popolazione e nella denuncia dei crimini esterni e interni (la Revolucionary Association Women of Afghanistan e il Partito della Solidarietà). E da qualche tempo un variegato e potente fronte islamico. Un’area che raccoglie il fondamentalismo dell’Hezb-e Islami, con gli immarcescibili signori della guerra e degli affari Hekmatyar e Sayyaf (quest’ultimo con uno sfrenato doppiogiochismo si dichiara pure alleato di Abdullah), il pan islamico Hezb ul-Tahrir, il nuovo partito islamista afghano Harakat-e Islami, sino a includere qualche chierico sciita come Sayed Hadi Hadi. Tutti molto attivi nell’organizzare incontri e manifestazioni con la popolazione, non solo davanti alle moschee ma guidando proteste contro l’occupazione Usa e su questioni di politica estera: la repressione della Fratellanza Musulmana in Egitto e, durante l’estate, l’ennesimo attacco israeliano a Gaza e la questione palestinese. Proprio Ahmadzai ha lanciato la proposta della necessità dell’apertura di un’ambasciata palestinese a Kabul. In tal modo questa componente islamica nell’ormai lunga fase di vuoto di potere, cerca di togliere terreno di reclutamento ai talebani interni.
articolo pubblicato qui