Affitti afflitti

par massimo anile
sabato 26 febbraio 2011

Tra stupori e ipocrisie di una vicenda molto "made in Italy"

Il recente scandalo degli affitti del Trivulzio di Milano appare emblematico e trasversale.

Emblematico, perché parte da un luogo da cui scoccò la scintilla di Tangentopoli, che diede come noto fuoco a polveri di inaudita potenza.

Trasversale, perché coinvolge, seppur di striscio, anche chi della moralizzazione ha fatto una bandiera, come Pisapia, il candidato sindaco del centrosinistra per la prossima legislatura.

Oggi, dopo le dimissioni di Trabucchi (che naturalmente si dichiara pulito e incolpa – al solito- la gogna mediatica) e la nomina di un nuovo commissario bipartisan nelle grazie di Formigoni, il salvifico Salvemini, possiamo soltanto allargare le braccia facendo della nostra ombra una croce.

Numerosi i nomi eccellenti coinvolti nei giri di valzer delle assegnazioni.

Tutti si accapigliano e si accusano, scandalizzati delle altrui pagliuzze; alcuni si difendono, ma con orgoglio.

Pochi tacciono abbassando la testa.

Nessuna novità, quindi.

Da decenni tutti sanno che, con i contatti giusti, non solo si trova lavoro o si fa carriera, ma si possono ottenere molte cose al "mecato paralellelo".

Nelle aziende si chiamano fringe-benefits e sono stati inventato per aggirare l'erario.

Anche qui ci sarebbe da dire parecchio, perché certo non si è mai visto di appartamenti dati in comodato d’uso a capireparto o tecnici trasferiti nelle nuove sedi operative, invece di attici in pieno centro storico dati al top management sì, anche se poi vengono magari occupati dai loro cugini o dalle loro rumorose amanti.

Business is business è il verbo, una legge morale invocata come un dogma kantiano (salvo poi ricorrere allo stato per gli ammortizzatori sociali), almeno finché esisterà libertà d’impresa, con o senza le limitazioni brutalmente imposte dall’articolo 41 della Costituzione. 

Ma nel pubblico?

Cosa cambia?

Nulla o quasi.

Basta sostituire a “profitto” il termine “consenso”, che ne è se vogliamo un succedaneo (anche più nobile delle uova di lompo) ed ecco che i conti tornano: all’amico importante può essere donato questo benefit, a patto ovviamente che ti sia riconoscente per tutta la vita (del resto, questi contratti di locazione sono pressoché eterni).

Succede che talvolta, - magari per la reazione stizzita di qualcuno che ha perduto o si è visto negare il privilegio, oppure a causa di qualche piccola vendetta personale da naufragio matrimoniale (vedi caso Chiesa) - un po’ di marcio emerga.

Allora escono le lacrime, ci si autoaccusa di leggerezza e ingenuità (mai di peculato), si chiede la testa di qualche dirigente (prontamente rinominato in altri conclavi di potere tra qualche mese, potete giurarci) e ci si mostra, afflitti, anzi, sinceramente afflitti, dinnanzi al popolo giudice e sovrano.

Se poi il manuale Cencelli è stato applicato a dovere, anche l’urlo feroce delle opposizioni sarà più sommesso, diciamo una tromba con la sordina.

I media se ne occuperanno finché la notizia tira, purché negli elenchi dei privilegiati ci sia qualche nome interessante di soubrette, o almeno un antagonista politico della cordata cui apparetiene il loro editore.

La gente si lamenterà, brontolerà un po', poi riprenderà la faticosa ricerca di uno sponsor vincente per sistemare il figlio, la nuora e i nipotini.


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