Addio carta stampata

par Luca Valente
venerdì 20 marzo 2009

Il giornalismo, come l’abbiamo conosciuto, è morto. L’assunto di base delle discussioni che hanno animato la scena in questi ultimi giorni ruotano attorno a questa certezza. Una consapevolezza, più o meno accettata da tutti, che dovrebbe stimolare la ricerca e la sperimentazione più che alimentare piagnistei o nostalgie inutili.

A scatenare il dibattito le posizioni di due critici culturali americani, Clay Shirky e Steven Johnson, sorretti dai dati emersi dal sesto rapporto annuale sullo stato dell’informazione americana, The State of the News Media 2009.

La situazione di crisi in cui l’economia dell’informazione è sprofondata è l’anticamera del baratro. Attori e protagonisti del mondo dell’informazione, incapaci in passato di prevederne i mutamenti, sono destinati a subirne le conseguenze. Un’analisi troppo dura incurante dei benefici che il giornalismo ha apportato alla formazione delle democrazie occidentali, secondo alcuni. Non è proprio così. L’ipotesi, neanche così tanto lontana è questa, che i giornalisti scompaiano assieme ai giornali che non stanno più in piedi. Le professioni, come fa notare intelligentemente Luca De Biase, cambiano, si modificano, scompaiono. Di quante, oggi, possiamo farne a meno? Di quante professioni non abbiamo traccia o abbiamo evitato di celebrarne la scomparsa?

Secondo me, il giornalismo, come professione, non è la carta stampata, anche se da sempre i concetti sono stati accostati. Oggi questa equazione è diventata lo scoglio attorno a cui gli addetti ai lavori, almeno in Italia, si stringono, cercando di esorcizzare il pesce vorace, internet ed i suoi adepti, che ha dato origine al cambiamento. Come se potessero resistere tenacemente alla marea.

La fame d’informazione, di storie, però, resta immutata. E’ una necessità di cui la gente alimenta il quotidiano, al di la del supporto attraverso la quale la si fruisce. E’ su questo scarto che bisogna operare una distinzione tra il destino della carta stampata con quella di una professione, il giornalismo, che ha tutte le capacità d’adattamento per uscire incolume dal naufragio dei giornali.

Negli Stati Uniti qualcosa si sta muovendo. Almeno si è capito che il passaggio al digitale è imprescindibile. I tentativi ci sono e sono variegati, dall’home page “Extra” del New York Times alla collaborazione con i citizen journalist ai progetti iperlocali.

Ma forse tutto questo affannarsi non servirà. Magari, in un futuro non troppo lontano, potremo fare a meno di qualcuno che ci racconti delle “storie” ma, grazie all’innovazione tecnologica, vi parteciperemo personalmente.


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