Abruzzo: "qui la ricostruzione non è mai cominciata"

par Libera Associazione Barbarica
lunedì 6 luglio 2009

Intervista a Carmine Basile, presidente Arci Abruzzo, sulla situazione nei comuni colpiti a quasi tre mesi dal terremoto.

A quasi tre mesi dal sisma a che punto è la ricostruzione?

Di ricostruzione non si può ancora parlare. Manca una stima completa dei danni e finora si è provveduto solo a mettere in sicurezza gli edifici di valore storico. Nelle abitazioni in cui il danno è stato lieve, sono i privati ad intervenire. La Protezione civile si sta infatti occupando del progetto Nuove case, cioè della costruzione di nuovi insediamenti abitativi.

Stanno cominciando adesso i lavori di scavo per consentire le gettate di cemento, ma è ovvio che è già molto tardi visto che qui ad ottobre le imprese non lavorano più perché le condizioni atmosferiche non lo consentono. Né si comincerà a lavorare seriamente prima della fine del G8, visto che tutti gli sforzi sono concentrati in quell’area. Probabilmente a fine settembre ci sarà la consegna simbolica di un piccolo nucleo di abitazioni, assolutamente insufficienti per far fronte al fabbisogno. E’ passato il progetto non della new town, perché le condizioni del territorio non l’avrebbero consentito, ma di tanti micro quartieri nuovi, adiacenti ai confini della città, nonostante l’opposizione della popolazione e degli Enti locali. Nel frattempo le scosse continuano. La gente non solo ha paura a rientrare nelle case anche se dichiarate agibili, ma mancano le infrastrutture che consentano di riprendere una vita normale. Nel centro storico l’acqua non arriva e in molte zone non c’è il gas, i negozi sono ancora tutti chiusi. Per fare la spesa ci sono due centri commerciali o i banchetti messi abusivamente per strada con merce a prezzi proibitivi. E tuttavia, i cittadini la cui casa è stata considerata agibile, non hanno più diritto ad accedere alla tendopoli, dove magari sono alloggiati parenti o amici, né ai pasti che lì vengono forniti. Se nel primo mese c’è stata abbondanza di tutto, oggi persino l’acqua viene razionata.

I cittadini e gli Enti locali sono coinvolti nelle scelte?

L’unico ente che viene almeno formalmente coinvolto è il Comune, che però è fortemente condizionato dalla mancanza di una sede e quindi consiglieri e funzionari lavorano in posti di fortuna. La Provincia è stata completamente esautorata, mentre la Regione continua a latitare. Per i cittadini organizzarsi è complicatissimo. Non solo sono sparpagliati tra i vari campi con grosse difficoltà a comunicare, visto che per accedervi è necessario il passed, i controlli sono rigidissimi, ma soprattutto ci sono migliaia di cittadini sparsi negli alberghi della costa, isolati da tutto. Esistono circa venti comitati coordinati tra di loro, che non sono nati nei campi, dove anzi hanno grande difficoltà ad entrare per organizzare anche una semplice assemblea. Nelle tendopoli l’unico contatto esterno è quasi sempre con gli esponenti della Protezione civile. Spesso è lo stesso Bertolaso che vi si reca per raccontare quali miracoli il Governo sta compiendo per loro ed i cittadini, privati della possibilità di confrontarsi con gli altri, gli affidano le loro speranze.

Quanta gente vive ancora nelle tendopoli e con quali sono i disagi anche psicologici ?

Secondo i dati della Protezione civile , nelle tende vivono ancora circa 23.000 persone. La maggior parte dei cittadini dei 49 comuni colpiti sono stati sfollati negli alberghi sulla costa. Lì vivono una condizione ancora più drammatica di chi è rimasto nelle tende: completamente sradicati dal loro territorio e dalla loro comunità, mal tollerati dagli albergatori che vedono ridursi i turisti, senza nessun contatto con chi è rimasto. Nelle tende sono rimasti soprattutto anziani, incapaci di adattarsi alla vita di un grande albergo, dove molti non hanno mai messo piede in tutta la loro vita. La depressione è un fenomeno diffuso. Prima del terremoto gli anziani potevano contare su una rete familiare protettiva ed accudente, che aveva sopperito alla mancanza di strutture a loro dedicate.

Oggi questa rete si è frantumata. Le loro giornate sono assolutamente vuote. Non sono stati organizzati momenti di socializzazione. La Protezione civile ha fatto arrivare da fuori psicologi che poco sanno di queste comunità, mentre i servizi sociali locali sono stati esautorati. Nei campi non è facile nemmeno il rapporto con i volontari, troppo spesso privi di competenze specifiche e di un’adeguata formazione. Il senso di distanza con gli sfollati è anche simbolicamente reso evidente dalla divisa che sono costretti ad indossare: il cittadino è riconoscibile grazie al pass, il volontario grazie alla divisa.

Come è stata accolta la decisione di tenere il G8 all’Aquila?

Per gli abitanti è una vera iattura. I disagi si stanno già moltiplicando e chi può se ne andrà. Gli altri resteranno confinati nelle tende, mentre i controlli sono diventati quasi ossessivi. Hanno chiesto che in questi giorni sia bloccata ogni attività, anche fuori dalle zone rosse, che qui sono due: quella a cui non si può accedere perché non è ancora stata messa in sicurezza e quella destinata al G8 (un’area di 5 km dal centro operativo). Si parla di divieto di usare automobili, di divieto di uscire dalle tende o dalle case se non per motivi documentati, insomma una specie di coprifuoco.

Quali sono le principali attività dell’Arci Abruzzo in questa emergenza?

Siamo impegnati soprattutto in due progetti: in collaborazione con Rai 3 abbiamo realizzato una biblioteca stabile ed una itinerante. Su un autobus fisso chiunque può prelevare il materiale che gli interessa, mentre un altro mezzo gira per i campi distribuendo libri e giochi per i bambini. Ci tengo a precisare che siamo gli unici volontari che sono riusciti ad essere esonerati dall’uso della divisa e questo conta nel rapporto con gli sfollati. L’altro progetto: Ricostruiamo insieme, è rivolto agli immigrati, Insieme alla Caritas formiamo servizi di informazione e supporto logistico a un pezzo di umanità che viveva nella provincia e che, irregolare, era letteralmente scomparso dalla mappa degli aiuti. Ma il grande problema a cui non riusciamo a rispondere data la limitatezza delle nostre forze è il vuoto culturale e di socializzazione. Non ci sono attività aggreganti, manca un programma di attività di animazione, i giovani finiscono per trovarsi la sera nei piazzali dei centri commerciali.

Tutto ciò la aumenta la sensazione di isolamento e la sfiducia. Nessuno qui riesce ad immaginarsi un futuro.


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