Abolizione delle province: da cavallo di battaglia a buon proposito… mai realizzato

par Matteo Scirè
lunedì 11 luglio 2011

L’abolizione delle province, come l’aumento della tassazione sulle rendite finanziarie, è uno dei tanti buoni propositi mai realizzati dalla politica di qualsiasi schieramento. È stato il cavallo di battaglia del centrodestra durante l’ultima campagna elettorale, ma è anche un argomento caro al centrosinistra.

La proposta si trascina da tempo, suscitando il favore dei cittadini che vedono la provincia come “l’Ente inutile” per antonomasia. Nell’immaginario collettivo la provincia è percepita come un’istituzione molto costosa e poco produttiva. Un’impressione confermata dalla principale funzione da essa svolta, definita da uno studio dell’Associazione “TrecentoSessanta” (Provincie sì, province no? Numeri utili per un buon federalismo, a cura del Senatore Marco Stradiotto) di “passa soldi”. La provincia, infatti, in quanto ente intermedio ha il compito di coordinare le politiche del territorio, destinando le risorse di cui dispone a enti e soggetti locali. Capita sempre più spesso, però, che le spese sostenute per personale, sedi, consulenze… prendano una buona fetta del bilancio a scapito dei servizi ai cittadini. Un’abitudine tipica delle amministrazioni, che porta a ricorrere all’indebitamento poi riversato sulle spalle dei contribuenti, con l’aumento di tasse che si vanno a sommare a quelle imposte per il funzionamento degli altri enti considerati come indispensabili per il funzionamento dello Stato.

Nonostante ciò, subito dopo le elezioni il tema è stato subito derubricato dal governo a problema secondario e quando è riemerso la Lega, alla guida di molte amministrazioni provinciali al Nord, ha minacciato l’alleanza col Pdl. Mentre il Pd qualche giorno fa alla Camera si è astenuto su un disegno di legge dell’Idv, una scelta che ha fatto arrabbiare molto militanti ed elettori dei democratici.

Da un po’ di tempo a questa parte il tema dell’abolizione delle province è entrato a pieno titolo anche nell’agenda della politica siciliana, grazie alla sua speciale autonomia. L’articolo 15 dello Statuto della Regione Siciliana, infatti, recita: “Le circoscrizioni provinciali e gli organi ed enti pubblici che ne derivano sono soppressi nell'ambito della Regione siciliana. L'ordinamento degli enti locali si basa nella Regione stessa sui Comuni e sui liberi Consorzi comunali, dotati della più ampia autonomia amministrativa e finanziaria. Nel quadro di tali principi generali spetta alla Regione la legislazione esclusiva e l'esecuzione diretta in materia di circoscrizione, ordinamento e controllo degli enti locali”.

In Sicilia, quindi, l’abolizione delle province è una riforma “dovuta”. Il Pd siciliano l’aveva inserita nel novero dei provvedimenti indispensabili per portare avanti un processo di innovazione e cambiamento dell’Isola, condizione per garantire il sostegno al governo regionale di Raffaele Lombardo. Il governatore l’aveva subito sposata. Tutti i partiti che oggi compongono la maggioranza in Assemblea regionale si dicono favorevoli e pare che a breve i 90 deputati di Sala D’Ercole si troveranno a decidere su un testo apposito, a cui sta lavorando l’assessore agli Enti locali, Caterina Chinnici. Da sempre contrari, invece, il Pid e il Pdl che guidano 8 province su 9, mentre Forza del Sud, il partito del dissidente berlusconiano Gianfranco Miccichè, propone una via di mezzo che prevede l’accorpamento di quelle più piccole.

Ma quanto costano le nove province dell’Isola ai cittadini siciliani?
Secondo i dati dello studio dell’Associazione TrecentoSessanta, realizzata analizzando i bilanci del 2008, il totale delle spese correnti, ovvero dei costi sostenuti dall’amministrazione per funzionare ammonta a 469 milioni. La più costosa, in relazione al numero di abitanti, è la provincia di Enna con 37 milioni e una spesa procapite di 213 euro. Seguono Ragusa con 40 milioni e una spesa procapite di 129 euro, Caltanissetta con 35 milioni e 127 euro, Siracusa con 49 milioni e 121 euro, Messina con 79 milioni e 120 euro, Palermo con 135 milioni e 108 euro, Trapani con 47 milioni e 108 euro, Agrigento con 48 milioni e 105 euro.

Su ognuna, inoltre, grava un debito elevato. La provincia più indebitata è Siracusa con 94 milioni e un debito procapite di 234 euro. Seguono Enna con 21 milioni e 119 euro procapite, Trapani con 45 milioni e 102 euro, Palermo con 104 milioni e 84 euro, Catania con 86 milioni e 79 euro, Caltanissetta con 17 milioni e 63 euro, Agrigento con 28 milioni e 61 euro, Messina con 38 milioni e 59 euro.

Abolire le province vuol dire chiudere un centro di spesa che oggi garantisce alla classe politica poltrone e potere, grazie ai quali alimentare consenso, spesso attraverso una gestione clientelare e affaristica. Saprà la stessa politica vincere le durissime resistenze interne e dare vita a nuovi modelli di istituzioni sovra comunali efficienti, in grado di garantire servizi di qualità ai cittadini e promuovere lo sviluppo del territorio? Sono queste le sfide che il governo della Regione e la maggioranza all’Ars devono affrontare nelle prossime settimane.


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