A proposito di unità nazionale

par Ugo Di Girolamo
sabato 23 ottobre 2010

Lunedì 18 ottobre il professor Clemente Sparaco con un appassionato articolo è intervenuto su AgoraVox sul tema dell’unità nazionale. Il professore, cattolico, che dimentica le immense responsabilità della sua chiesa – la quale con una ostinazione millenaria ha fatto di tutto per tenere divisa l’Italia, anche dopo il 1870 e fino al termine della prima guerra mondiale – viene oggi a proporre una chiave interpretativa, del processo unitario nazionale e dei problemi irrisolti ad esso connessi, a dir poco sconcertante.

La comune fede religiosa sarebbe alla base della “Fratellanza italiana”. Fascismo, comunismo e liberismo individualista hanno avuto un impatto devastante su questa fratellanza. Oggi “i fratelli d’Italia si presentano ormai divisi e disincantati di fronte alle sfide della globalizzazione”.

Scorrendo il sostanzioso e appassionato articolo viene alla mente il colonnello americano Charles Poletti che nella Napoli affamata del ’44 non perdeva occasione per magnificare i valori della democrazia e i napoletani stufi della nuova retorica gli rispondevano: “Poletti, Poletti meno chiacchiere e più spaghetti”.

Partiamo dai dati concreti, una esigua borghesia (quella francese che guidò la rivoluzione era valutata sui due milioni, quella italiana 70 anni dopo non superava le 500 000 unità) si affermò come classe dirigente guidando il processo di unificazione nazionale. Diversamente da Inghilterra, Olanda e Francia il proletariato urbano italiano e le immense masse contadine furono esclusi da questo processo, nel Sud in modo violento. I siciliani che erano accorsi in massa ad arruolarsi con Garibaldi, per ottenere la terra, a fine campagna furono liquidati e tacitati, anche a fucilate. Tra la fine del 1700 e il 1870 non c’è nella nostra storia nessuna battaglia di Valmy, ma solo lazzari, sanfedismo e brigantaggio.

Nasce da qui l’estraneità della maggioranza degli italiani al proprio Stato
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Una piccola e rapace borghesia, di fronte alla estraneità, indifferenza o ostilità del proletariato urbano e della marea contadina (questi ultimi da soli rappresentavano il 75% della popolazione), aizzati anche dal Vaticano, per tenere unita l’Italia ricorse a ogni mezzo, lecito e illecito, dal fucile alle mafie nel Mezzogiorno, dalla corruzione al clientelismo sistematico al Nord come al Sud.



Mazzini voleva fare gli italiani con la retorica nazionalistica “parareligiosa”.

Il fascismo pensava di risolvere la questione meridionale negandone l’esistenza e – come dice lo storico inglese Christopher Duggan – di unire finalmente tutti gli italiani con l’aggressività internazionale e la retorica patriottica.

L’avvento della Repubblica e la nuova costituzione avrebbero potuto rappresentare il punto di svolta nella storia italiana, rinsaldando i legami unitari mediante la riappropriazione da parte della maggioranza degli italiani del proprio Stato e la fine dell’estraneità alle proprie istituzioni. Ma tutto fu sacrificato al conseguimento della vittoria nell’insanabile conflitto tra democristiani e comunisti, tra filoamericani e filosovietici, tra Est e Ovest. La Costituzione rimase una bella sconosciuta, i legami con le mafie furono rinsaldati, la corruzione e il clientelismo di massa continuarono a svolgere – nelle nuove forme democratiche – la funzione di raccolta del consenso. Lo stesso, pur serio, tentativo di risolvere sul piano economico la questione meridionale fu sacrificato all’obiettivo primario della raccolta del consenso elettorale, fino alla crescita di un mostruoso debito pubblico, che oggi minaccia gravemente il popolo italiano.

Con la fine del comunismo e l’avvento del “Berlusconismo” nessuno dei problemi che gli italiani si tirano dietro dall’unità è stato risolto o avviato a soluzione, al contrario tutto si è aggravato. La corruzione è diventata sfacciata e arrogante, il clientelismo un attributo essenziale dell’esercizio del potere politico, le mafie hanno occupato l’intero territorio nazionale, il divario Nord – Sud è sempre più ampio, l’antipolitica è diventata uno sport nazionale di massa, l’identità nazionale sempre più debole e soggetta ad attacchi concentrici da leghisti e “neoborbonici”.

Qual è la prospettiva?


La storia è imprevedibile! C’è solo da augurarsi che la crisi economica non si aggravi, se dovessimo precipitare verso una “situazione Argentina” credo che gli anni di unità nazionale diverranno semplicemente una parentesi nella lunga storia di divisione della penisola.


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