A Repubblica arriva la censura

par Daniel di Schuler
giovedì 22 novembre 2012

Cercando di fare poco rumore è stato fatto scomparire, dall'edizione on-line del quotidiano, un post in cui Piergiorgio Odifreddi, nel blog di cui era titolare, arrivava a paragonare quel che lo Stato d'Israele sta facendo a Gaza alle rappresaglie naziste.

È del tutto irrilevante che non si sia d’accordo con quel che aveva scritto Odifreddi. Una volta detto che quel suo post non conteneva nulla per cui si potessero ipotizzare dei reati, è evidente che la decisione di rimuoverlo, per quanto legittima, nel senso strettamente etimologico di questo termine, sia stata una ciclopica idiozia da parte delle direzione di Repubblica.

Tanto colossale da farmi auspicare, per il pochissimo che resta della reputazione di quel giornale (probabilmente ancora tra i migliori d’Italia, ma che nessuno, a cominciare dai suoi lettori, arriva a definire autorevole), che chi l’abbia presa rassegni le dimissioni e si occupi di una qualche professione che non lo costringa ad aver a che fare con opinioni diverse dalla propria. Un signor X, questo censore di cui ignoro l’identità, che deve aver fin qui svolto con grande distrazione il proprio lavoro, dato che il professore, certo insigne matematico, aveva già espresso su altri argomenti dei punti di vista perlomeno altrettanto discutibili del paragone (per me, a dir poco, assolutamente infelice) contenuto in quel suo testo. Distrazione per cui quelle dimissioni dovrebbero essere ancor più doverose, a meno che, e questo è un lecito sospetto, gli strali di Odifreddi andassero benissimo quando prendevano di mira obiettivi (primo fra tutti la Chiesa cattolica) verso i quali la proprietà e la direzione di Repubblica non avevano, per dire così, particolare sensibilità.

Certo è che l’affaire Odifreddi rappresenti una pessima pagina nella storia di Repubblica; una frittata che non c’è verso di rigirare in modo che risulti digeribile. I tentativi di farlo, anzi, sono stati tanto maldestri da aggiungere altro imbarazzo. Vittorio Zucconi, direttore dell'edizione on-line, cui va perlomeno riconosciuto il coraggio di aver affrontato l’argomento, quando nel farlo tira in ballo il Mein Kampf, o parla di “scorie tossiche”, dimostra un senso della misura simile a quello del riprovevole (e dimissionario) professore. Fa ancora peggio quando ricorda, casomai tra i suoi lettori restasse qualche illusione, che a questo mondo tutto è commercio; che tutti vendono qualcosa. Peggio, non per perché questo non sia vero, ma perché, dopo tanti anni a fare il suo mestiere, ancora non ha capito quel che si vorrebbe da lui e dalla sua bottega.

Mi permetterà che glielo spieghi, con tutta l’autorità che mi deriva dall’essere anche un suo ormai affezionato cliente. Nessuno si aspetta che un quotidiano sia la bocca della verità, ma ad uno che voglia essere considerato autorevole (è questa la parola chiave) si chiedono due cose. La prima è che pubblichi tutte le notizie che possano essere “oggettivamente” interessanti per i propri lettori, dando loro la “giusta” importanza, senza chiedersi a chi altri possano giovare o nuocere. La seconda, ancor più importante, è che ospiti opinioni diverse, date da giornalisti che non debbano rispondere ad altro che alla propria coscienza (oltre che, ma forse è solo una mia preoccupazione, alla grammatica e all’ortografia). Sentir parlare di “linea editoriale”, invece, fa cadere le braccia; è quel che ci si attenderebbe da un giornaletto di partito o da uno di quei fogli, e sono tanti, la cui proprietà usa il lavoro dei giornalisti come merce di scambio con il mondo della politica. Fa venir voglia di chiedersi quale di queste due cose sia diventata, o forse è sempre stata, la Repubblica. 

P.S. Resta un grande giornale, in Italia o, fino a che il russo non ci metterà troppo le mani, ci si deve vedere obbligati a leggere The Independent? Un quotidiano magari non grande, ma senza "linea editoriale", perlomeno nel senso che viene comunemente dato al termine, e che lascia la più completa libertà ai suoi opinionisti, in linea sarebbe rimasto. Quale? Beh, se leggete queste righe, per voi non è proprio un segreto.


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