A Capodanno maneggiate con cautela le bombe

par Luca Mirarchi
domenica 4 gennaio 2009

Non tutte le ferite si rimarginano nello stesso modo. La cicatrizzazione può essere ritardata sia da fattori locali (ad esempio un deficit di irrorazione sanguigna, lesioni oppure infezioni preesistenti), sia da fattori generali (come l’età avanzata o il carente stato nutrizionale, fino alla concomitanza di patologie sistemiche quali il diabete).

In ogni angolo del mondo i bambini – tra coetanei – spesso si vantano delle ferite che hanno riportato. Di solito si tratta di lesioni più o meno gravi, segni distintivi di “valore” nel gioco, magari a Cowboy e indiani o simulando un’azione guerresca.
Quando si cresce e si diventa adulti, presto si dimenticano le pistole-giocattolo.

Resta una ristretta categoria di adulti – tra i leader politici mondiali – che invece continua a giocare alla guerra. Si tratta in effetti di una delle più antiche attività umane. Nei conflitti che senza sosta fanno sanguinare il pianeta sono però in ballo anche altri fattori. Interessi economici, ad esempio: garantire uno spazio vitale per i cittadini-elettori del dato governo; capitalizzare gli investimenti dell’industria pesante degli armamenti; razionalizzare l’utilizzo delle risorse naturali; aumentare i posti di lavoro conseguenti alle attività di ricostruzione post-bellica; difendere lo Stato da una minaccia esterna (non sempre individuabile, specialmente in tempi di terrorismo globale). In altre parole: non è solo una degenere volontà di potenza a motivare le politiche conflittuali dei governi della terra.

Rimane però da precisare un aspetto: i governanti non sono i soli adulti implicati nelle azioni militari. Non vanno dimenticate le truppe mercenarie, l’esercito, gli inviati dei media. Non vanno dimenticate soprattutto le involontarie comparse (decine di migliaia), involontariamente coinvolte nei teatri di guerra. Alcune moriranno subito, durante i bombardamenti, altre resteranno mutilate, molte si rifugeranno nei campi profughi, ci sarà chi avrà la forza e la fortuna di rifarsi una vita. I civili costituiscono poi l’insieme più eterogeneo: vecchi, donne e bambini abitano difatti tutti gli insediamenti umani.

I vecchi e le donne conoscono già l’inutile stupidità della guerra. I bambini, soprattutto i maschi, ne sono attratti. Durante lo scoppio del secondo conflitto in Iraq, nel marzo 2003, quando i telegiornali portavano nelle case immagini delle bombe su Baghdad, poteva capitare di osservare i più piccoli, che rapiti seguivano l’evolversi degli eventi. Era lontano, in un posto esotico, scenari di un film di spionaggio o d’avventure; era in ogni casa del mondo, attraverso giornali e TV.

Immagini sgranate virate sul verde per le riprese ad infrarossi degli attacchi notturni – come un videogioco di quelli che usano i soldati per preparasi agli scenari di combattimento; come un videogioco violento e innocuo, tra ragazzini, per distrarsi prima di iniziare i compiti. Le guerre a distanza, nel villaggio globale assediato dal nemico invisibile, hanno lo spazio normalmente attribuito (tra gli avvenimenti di punta) dalla scaletta di un telegiornale. Il filtro mediatico lascia trasparire una drammaticità ovattata, assimilabile, presto “normalizzata”, nel magma caotico del susseguirsi delle notizie.

Nuovi e vecchi conflitti si ripetono a cadenza regolare. Ultimamente le iniziative militari tendono a cominciare quando la scena dell’informazione mondiale è distratta da altre circostanze. È successo ad agosto, quando l’immediata risposta russa alle ingerenze georgiane è scattata mentre partivano le olimpiadi cinesi. Fuochi d’artificio o bombe sull’Ossezia? È successo a fine dicembre 2008, tra Natale e Capodanno, quando Israele ha fatto scattare l’operazione Piombo fuso per smantellare l’organizzazione di Hamas nei Territori occupati e, nel mentre, l’occidente in vacanza sceglieva il modo migliore di salutare l’anno nuovo ai tempi della grande crisi. Fuochi d’artificio o bombe su Gaza? Di nuovo allarmate news dal medio oriente in fiamme, bilanci di morti e feriti per i botti di capodanno, bilanci di morti e feriti in Terra Santa – la culla delle tre grandi religioni monoteiste.

Bambini per strada, nelle capitali del mondo, giocano e si divertono con mortaretti e petardi. Bambini tra le braccia dei genitori, la notte di San Silvestro, guardano rapiti fiori di fuoco aprirsi nel cielo, per festeggiare il 2009. Bambini tra le braccia dei genitori, in uno scantinato di un villaggio in Palestina, sperano che quelle esplosioni finiscano presto, sperano di poter ritornare a dormire un sonno senza incubi.


Non tutte le ferite si rimarginano nello stesso modo. La cicatrizzazione può essere ritardata sia da fattori locali:


 Lo spazio aereo della Striscia di Gaza, le sue acque territoriali e l’accesso marittimo, sono sempre rimaste sotto il controllo di Israele.

 Gaza e Cisgiordania, con una popolazione prevalentemente araba, costituiscono i Territori occupati dopo la Guerra dei sei giorni del 1967. Nel 1987 comincia la prima Intifada per la liberazione della Palestina. L’esercito israeliano si ritira dalla Striscia di Gaza nel 1994, in seguito agli accordi di Oslo. Nel 2001 comincia la seconda Intifada. Nel 2005 Israele dispone lo sgombero dei coloni dalla Striscia e lo smantellamento degli insediamenti. Nel 2006 Hamas (organizzazione ritenuta terroristica dalla diplomazia internazionale) vince le elezioni in Palestina.

 Impossibile stabilire il numero complessivo delle migliaia di morti da parte araba e da parte ebraica, durante i ripetuti periodi di scontro, dalla fondazione dello Stato d’Israele nel 1948 ai giorni nostri.

Sia da fattori generali:

 Nel 1947 l’ONU predispone un piano di divisione della Palestina in due Stati: uno arabo ed uno ebraico. A tutt’oggi lo Stato palestinese ufficialmente non esiste.

 L’Unione Europea, così come gli USA, considerando Hamas un’organizzazione terroristica, dal 2006 interrompono l’invio degli aiuti in Striscia di Gaza, che vede così peggiorare le condizioni di vita dei propri abitanti.

  Nei 60 anni di storia di Israele (passando per la Guerra dei sei giorni del 1967, la Guerra del Kippur del 1973 e i conflitti col Libano dagli anni ’80 al 2006), una soluzione pacifica duratura, tra il popolo ebraico e il mondo arabo, non è stata mai trovata.


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