8 e 9 giugno il referendum per un possibile cambiamento.

par Gerardo Lisco
mercoledì 28 maggio 2025

L’8 e il 9 giugno p.v. i cittadini sono chiamati a pronunciarsi rispetto a cinque quesiti referendari, quattro dei quali riguardano il diritto del lavoro, nello specifico:

“contratto di lavoro a tutele crescenti”, questo quesito riguarda il jobs act e propone l’abrogazione della disciplina del lavoratore illegittimamente licenziato. Nelle imprese con più di 15 dipendenti il lavoratore licenziato illegittimamente non ha diritto al reintegro nel posto di lavoro;

La domanda che in molti ci poniamo è perché andare a votare considerando che ad aver promosso il referendum sono gli stessi che, con modalità diverse, hanno taciuto se non addirittura approvato quegli stessi provvedimenti che oggi chiedono ai cittadini di abrogare. La ragione per la quale bisogna andare a votare, nello specifico mi riferisco ai quesiti che riguardano il diritto del lavoro, è che il voto potrebbe segnare una inversione di tendenza rispetto alla cultura del lavoro dominante. A partire dagli anni 90 del secolo scorso, nel nostro ordinamento giuridico, sono state introdotte una serie di novità che hanno peggiorato le condizione dei lavoratori sia dal punto di vista economico che in termini di diritti e tutele. L’idea che in questi anni è passata è che essere precari, fluidi, disposti ad accettare le sfide del mercato fossero indici di libertà e di merito individuale. A distanza di anni si scopre che la narrazione sul merito e sulla libertà individuale nascondeva solo forme barbare di sfruttamento. Della perdita del lavoro, del salario basso, degli incidenti sul lavoro , ad essere incolpato non è il sistema economico e produttivo ma il lavoratore stesso il quale viene stigmatizzato come un individuo incapace di cogliere le occasioni offerte dal mercato.

Il quinto referendum riguarda l’acquisizione della cittadinanza da parte dello straniero arrivato in Italia. Questo quesito referendario, mascherato dietro l’egualitarismo e un umanitarismo ideologico, è funzionale alla logica del capitalismo neoliberale che alloca le risorse secondo le esigenze del mercato, nel senso che i fattori di produzione vengono redistribuiti rispetto alle esigenze produttive e del profitto ignorando la questione umanitaria. Per quanto mi riguarda la cittadinanza dovrebbe essere concessa solo a coloro che hanno contezza di quel sentire comune che deve essere il requisito minimo per potere avere la cittadinanza. Le argomentazioni a favore della contaminazione tra modelli sociali e culturali diversi è un dato storico che non bisogna analizzare in modo ideologico come invece fanno i propositori del referendum. Considerato che i quesiti proposti hanno una loro coerenza logica, sono portato a pensare che il quesito relativo alla cittadinanza sia solo una marchetta finalizzata a mobilitare gli interessi organizzati che ruotano attorno al business dell’immigrazione sperando in questo modo di alzare il quorum. Per quanto mi riguarda rispetto all’acquisizione della cittadinanza ciò che andrebbe fatto è il riconoscere la cittadinanza a tutti coloro che nascono in Italia. Il nascere in un dato paese, pur se figlio di stranieri, attiva un processo di socializzazione che porta ad una forma di interazione positiva per l’intera collettività. Anche su questo punto è possibile trarre validi insegnamenti dalla storia passata.

Dicevo spero che il referendum dell’8 e 9 giugno segni una inversione rispetto alle politiche del lavoro fin qui perseguite, questa mia speranza è fondata sulla consapevolezza che la battaglia referendaria abbia come scopo quello di testare quanto pesa in termini elettorali il Segretario nazionale della CGIL Landini in previsione delle prossime elezioni politiche. Una buona affermazione, indipendentemente dal superamento del quorum, potrebbe essere il viatico giusto per la costruzione di un percorso politico che vedrebbe in Landini l’alternativa alla Meloni. La candidatura di Landini segnerebbe un’ulteriore passo verso quel superamento della cultura woke che vedeva la Schlein come alternativa alla Meloni. Da una parte una candidata donna bisessuale, intersezionalista espressione di un modello culturale post ideologico e post moderno schiacciato sulle libertà individuali, dall’altra la Meloni espressione di valori ritenuti reazionari se non addirittura fascisti. Per cui ripartire dal lavoro significa modificare l’approccio culturale ritornando a parlare delle condizioni materiali di decine di milioni di italiani e questo indipendentemente dai gusti sessuali i quali restano un fatto privato. In aggiunta bisogna tenere presente i rapporti di forza tra PD e M5S e l’impossibilità che gli elettori possano riconoscere uno dei due come guida dell’intera coalizione. E’ da anni che la CGIL si propone come cerniera tra M5S e PD proponendo in modo velato Landini come guida della coalizione. Il tema del lavoro per le implicazioni che esso ha potrebbe mobilitare l’elettorato di sinistra e in prospettiva anche di centro, soprattutto se quest'ultimo farà riferimento al nuovo corso che sembra voler inaugurare Leone XIV con il richiamo alla dottrina sociale della Chiesa. 

 

 

 

 


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