38 testimoni: il film di Lucas Belvaux

par angelo umana
lunedì 10 marzo 2014

Film interessante e particolare di Lucas Belvaux del 2012, forse visto molto poco (grazie a mymovies che lo ha proposto in streaming il 22 febbraio 2014!). Si concentra su un “delitto” di massa, l’omissione di soccorso o il disinteresse quando una violenza succede per strada. La paura d’immischiarsi, a rischio della vita o dell’incolumità propria per un fatto che non ci riguarda ma… “per chi suona la campana?”.
 
Da parte dei molti testimoni (38) dei condomini accanto al luogo dove il fatto è avvenuto durante la notte, che hanno sentito il grido “atroce agghiacciante inumano” della ragazza ventenne aggredita, c’è subito il desiderio di rimozione, dimenticare una violenza che non li tocca, dire alla polizia di non aver sentito nulla.

Solo uno, Pierre, che per lavoro guida le pilotine che accompagnano le grosse porta container nel porto di Le Havre (belle le inquadrature marine di questi enormi “elefanti” trainati da animali più piccoli), dopo aver inizialmente negato alla sua compagna Louise che quella notte fosse in casa, confessa la sua colpa, “non mi sono mosso”. Lo fa in una scena che ricorda un altro film, “Come pietra paziente”, in questo caso lei dorme ma lui le racconta di quella notte.
 


Ne ha necessità ma quella confessione non lo aiuterà a liberarsi del senso di colpa, lo sguardo fisso e inquietante di un dirimpettaio del condominio di fronte sembra giudicarlo e ricordargli l’impossibilità di rimuovere quella colpa, dalla quale non potrà separarsi. Si sente come uno zombie “un corpo tra due sponde alla deriva tra i vivi e i morti, uno spettro”.

È una grande interpretazione quella dell’attore israeliano Yvan Attal, il suo viso esprime esattamente il dramma che vive nella parte di Pierre. A nulla serve che la sua giovane compagna lo inviti a superare il fatto, “non ne parliamo più, ormai è successo, dimentichiamocene, torniamo alla normalità … saremmo riusciti a dimenticare”. Ma lui:“Dimenticare cosa?”, con quelle “urla nel cranio … intrappolato in quella morte”. 
 
In fondo è incomprensibile il comportamento umano, voler comunicare pubblicamente che quella notte si dormiva, che non si è intervenuti perché non si è sentito niente, che però “Prima le ho portato dei fiori” come dice a Louise una vicina, quella che arriva a schiaffeggiare Pierre (“Che cosa te ne frega?”), dice di non volere che la sua bambina sappia da grande che lei è stata capace di mentire, eppure la sua bambina le è in braccio e già capisce.

Quello di portare abbondanti mazzi di fiori nel luogo del delitto sembra il “mi piace” che apponiamo su Facebook quando condividiamo un tema, partecipiamo a un dramma ma dal comodo delle nostre stanze e un forte disagio interiore resta, siamo “codardi e indifferenti”. Somma ironia del regista: al funerale si vedono ragazzi con sulla maglietta l’immagine della sconosciuta ventenne uccisa, anch’esso un modo di cercare di far tacere le coscienze o di mostrare la propria contrizione.
 
Pierre viene presto evitato dagli altri vicini per aver confessato che quella ragazza era “impossibile non sentirla”, lui rappresenta la cattiva coscienza di tutti. Nella successiva ricostruzione animata della polizia sul luogo quello è un grido che accusa tutti e dal quale tutti si sentono accusati


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