10 Febbraio - Il giorno del Ricordo

par Patrizia Dall’Occa
martedì 10 febbraio 2009

"Le foibe sono cavità carsiche, solitamente di origine naturale (grotte), con ingresso a strapiombo. Le foibe sono diffuse soprattutto nella provincia di Trieste, nelle zone della Slovenia già parte della scomparsa regione Venezia Giulia nonché in molte zone dell’Istria e della Dalmazia. Le foibe sono state usate per occultare cadaveri in diversi periodi storici, in particolare nel corso della seconda guerra mondiale. La storia funesta delle foibe nel 1943-1945, che vide protagonista il movimento partigiano di Tito, ha molte ascendenze, ma certamente la più rilevante è quella che ci riporta alle origini del fascismo nella Venezia Giulia". (fonte: Romacivica.net)

La ricorrenza del "Giorno del Ricordo" non va ignorata, va invece recepita con lo stesso spirito con cui celebriamo il Giorno della Memoria, l’anniversario della Liberazione, il 1 maggio. Chi fosse "imbarazzato" dalla circostanza , sbaglierebbe. E’ stata una tragedia per migliaia di italiani, simboleggiata dalle foibe, ma non riducibile solo ad esse. Nelle aree di confine giuliane furono commessi crimini efferati , della stessa natura di quelli che all’epoca furono classificati come "crimini contro l’umanità".
Piuttosto, sarà utile a qualcuno ricordare sia le ragioni di quanto avvenne, sia i motivi per cui passarono decenni prima che se ne ricominciasse a a parlare.

GLI ANTEFATTI

Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale la zona carsica e la linea dell’Isonzo furono teatro, per tre anni, di furiosi combattimenti. Sloveni e croati combattevano nelle file dell’esercito austroungarico e la loro partecipazione alla guerra era supportata da una propaganda ferocemente antitaliana che faceva leva sul loro orgoglio nazionale.

Con la sconfitta del’Austria, e poi con il colpo di mano di Fiume, quei territori e la penisola istriana passarono tutti sotto l’amministrazione italiana. Ciò corrispose anche ad un declino di caratere economico, perchè il porto di Trieste perse l’importanza commerciale che aveva come sbocco dell’impero austriaco nell’Adriatico.

Nelle aree ad est di Trieste e Gorizia, il regime fascista impose una politica di "italianizzazione" forzata piuttosto pesante, nei confronti delle popolazioni di origine slava, rifiutando il bilinguismo, e introducendo una serie di discriminazioni e imposizioni che partivano dall’età dell’obbligo scolastico.

Durante la II Guerra Mondiale, il fallimento militare della campagna italiana di aggressione alla Grecia costrinse il III Reich ad intervenire in tutta l’area balcanica con ingenti forze. Le truppe italiane e quelle tedesche si divisero le zone di occupazione, nella quali sia la Wehrmacht che l’Esercito italiano adottavano la politica del pugno di ferro. Ciò anche perchè il movimento partigiano jugoslavo , soprattutto nella sua componente titina, grazie al pieno appoggio sovietico, si rivelò ben presto il più forte e organizzato dal punto di vista militare

La sudditanza da parte dei comandi italiani nei confronti di quelli tedeschi si trasformò in una serie di "regole di ingaggio", recentemente analizzate dalla storiografia, (vedasi disposizioni del generale Roatta), molto simili a quelle emanate da Kesselring nell’Italia occupata dal settembre ’43,sia per quanto riguardava la rperessione antipartigiana che il trattamento da riservarsi alla popolazioni civili. In altre parole e contrariamente al comportamento adottato in altri teatri di operazioni le forze armate italiane si resero purtroppo responsabili di numerosi e documentati crimini di guerra , che la propaganda titina cercò ovviamente di amplificare e di sfruttare a scopi propagandistici, in chiave antitaliana.

LE RAGIONI DEGLI ECCIDI

A due riprese, nel ’43 (dopo l’8 settembre) e nel ’45 (con la sconfitta tedesca) fu realizzata da parte delle formazioni titine una "pulizia etnica" contro le popolazioni italiane dei territori giuliani e istriani (che nell’arco di quel periodo non erano sotto il controllo della RSI, bensì della Germania, che intendeva riannetterle). Mentre nella prima ondata del ’43 si era trattato di una sorta di feroce rappresaglia collettiva, basata sulle ’equazione italiani= fascisti, le stragi del ’45 corrispondevano ad un progetto condiviso dal Maresciallo Tito e dal capo del PC sloveno, Kardelj, riassumibile in 4 punti:


 estensione del confine jugoslavo con l’Italia fino alla linea dell’Isonzo (comprendendo, quindi, Trieste, Gorizia, Monfalcone, ovvero aree abitate da popolazioni in larga maggioranza italiane)


 creazione del fatto compiuto (inizata con l’occupazione di Trieste) e conseguente difficoltà del’Italia e degli Alleati, in sede di trattati di pace, a recuperare i territori ;


 eliminazione di tutte le persone che, potenzialmente, potevano rappresentare l’identità italiana in quelle aree; compresi numerosi rappresentanti della Resistenza (fu eliminato tutto il CLN giuliano)



 occupazione da parte di popolazioni slave di case, possedimenti, attività appartenenti a italiani, e conseguente sfollamento di questi ultimi, se non riconoscevano la legittimità dell’occupazione jugoslava e non si adattavano alle mutate condizioni di vita.

Si trattava di un progetto concepito con fredda ferocia, in cui coesistevano motivazioni ideologiche, revanscismo, spirto di vendetta, ma la componente nazionalistica, antiitaliana e annessionistica era prevalente. Nel 1945 i rapporti fra Stalin e Tito erano ancora buoni, quindi la presenza jugoslava nelle zone giuliane, per quanto rappresentasse una forzatura rispetto agli accordi di Yalta, poteva costituire un’ opzione appetibile anche per Mosca.

L’aspetto più oscuro di tutta la vicenda (che costò dalle 10 alle 12 mila vittime innocenti) fu il comportamento fortemente ambiguo del PCI, combattuto fra la sua vocazione internazionalista e gli interessi nazionali. Anche nell’ambito della guerra partigiana nella Venezia-Giulia le tensioni di natura politica si erano già manifestate in modo drammatico fra formazioni partigiane di diversa ortodossia ideologica (V. episodio di Porzus),

Oltre alle vittime infoibate, vi fu il dramma dell’esodo di massa. I profughi istriani, che in molti casi avevano subito espropri e intimidazioni di ogni genere, spesso non ricevettero in Italia un trattamento dignitoso,stipati per anni in campi-profughi; nell’Italia stremata del dopoguerra, che ancora sgombrava le macerie, c’erano oggettive difficoltà a trovare una sitemazione a migliaia di profughi. Costoro erano guardati con diffidenza e ostilità da parte comunista, in quanto rappresentavano coloro che avevano rifiutato il regime di Tito e il comunismo (tristemente noto l’episodio dei ferrovieri di Bologna, che bloccarono i treni contenenti aiuti alimentari) .
La soluzione a livello internazionale del problema di Trieste e dei confini potè avvenire solo quando i rapporti fra Belgrado e Mosca comiciarono ad incrinarsi. Nel frattempo, erano stati gli Alleati a scoraggiare miltarmente l’occupazione dell’area isontina da parte delle forze jugoslave.

LE RAGIONI DELL’OBLIO

La vicenda delle foibe era imbarazzante per tutte le parti in causa.
I governi italiani del primo dopoguerra non erano in condizioni di aprire un serio contenzioso con Tito, perchè ad esso avrebbe corrisposto la richiesta di processare e giustiziare in Jugoslavia gli ufficiali italiani responsabili dei crimini di guerra nei Balcani, pco conosciuti all’opinione pubblica itaiana..
All’epoca, ragioni analoghe collegate all’inizio della guerra fredda impedìrono anche l’apertura di processi in Italia contro alcuni criminali nazisti (come è documentato da una istruttiva lettera a De Gasperi dell’allora ambasciatore a Mosca, Quaroni, con il consiglio di insabbiare tutto)
Il mutamento degli equilibri internazionali, per ragioni diverse, fu ostativo alla riapertura del dossier-foibe.
Una volta delineatasi la frattura fra Tito e i sovietici, il Maresciallo cessò, per l’Occidente, di essere un vero nemico, essendovi tutto l’interesse a sostenere la sua posizione di autonomia da Mosca. In questo quadro, una rottura delle relazioni fra Roma e Belgrado non sarebbe stata ben vista in ambito NATO.
Non è un caso che , in Italia, si sia ricominciato a parlare delle foibe dopo la dissoluzione della ex-Juogoslavia.

Quello che di tutta questa ricostruzione, per la quale ringrazio l’amico Enzo Ciampi, non riesco a capire è perché si sia voluta perdere la memoria. Perché di questo avvenimento così terribile e devastante non si è più parlato nei libri di storia?
Perché ci si ostina a ricordare la strage del popolo ebraico, in ogni modo possibile, mettendo a tacere la morte di tanti italiani? La morte di persone innocenti, lasciati anche qui a marcire in rifugi fittizi, in lagher senza nome, depositati in fosse naturali, che nessuno si è preso la briga di dover scavare?

Perché abbiamo questa capacità di poter annullare la nostra storia? Perché non si alzano grida di indignazione su questo fatto e su altri avvenimenti allucinanti della nostra società?
Perché l’ignoranza permette di vivere tranquilli, sereni, senza troppe preoccupazioni. Una volta che si comincia a scavare, ciò che si trova apre gli occhi, ci costringe a vedere e a fare i conti con noi stessi, con il nostro Paese, con la società in cui viviamo.

Ma non ce lo possiamo più permettere. Ricordare è un obbligo che i morti esigono. La memoria è rispetto per chi ha perso la vita.

Ricordiamo.


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